Approda domani, in Aula alla Camera, una proposta di legge per disciplinare la coltivazione, il possesso e la vendita di cannabis. La discussione, che dovrebbe portare a una votazione definitiva in autunno, potrebbe rappresentare il capitolo finale di una lunga saga: protagonista un’Italia che, di fronte ad argomenti particolarmente scottanti, continua a muoversi a rilento, lasciando che la riflessione politica si consumi soprattutto nei salotti dei talk-show.

Il Bel Paese figura da un po’ di anni ai primi posti tra i produttori mondiali di droghe leggere. Lo segnala la Direzione Centrale Servizi Anti-droga, lasciando intendere che a poco sono servite le sanzioni, anche piuttosto aspre, previste dalla Legge Fini-Giovanardi, in vigore fino al 2014, e dalla Legge Iervolino-Vassalli, normativa vigente. L’Italia sembra aver pagato lo scotto di un proibizionismo che si è rivelato fallimentare. Nel frattempo, invece, nel resto del mondo si sono fatti significativi passi in avanti sulla questione.

Un esempio estremamente positivo è il Portogallo, che, a metà degli anni ’90, versava in una situazione quanto mai preoccupante: il numero dei tossicodipendenti aveva raggiunto i 100mila, e il Paese aveva in Unione Europea il più alto tasso di HIV tra i consumatori di eroina. La necessità di assumere un atteggiamento pragmatico e risolutivo ha determinato la scelta di convocare una commissione anti-droga composta da 11 esperti. Da quel momento, il punto di vista sulla questione è stato completamente capovolto.

Come primo fondamentale cambiamento, la figura del tossicodipendente ha subito una rivalutazione: non più un criminale da punire, quanto un malato bisognoso di cure. Sulla base di questo presupposto, nel luglio 2001, è stata approvata la Legge 30/2000, che ha depenalizzato il consumo e il possesso di droghe illecite e ha fissato attraverso una tabella, il loro possesso fino a quantità pari ai bisogni di dieci giorni di consumo. Le persone trovate con sostanze stupefacenti, da allora, non vengono arrestate, bensì chiamate davanti alla “Commissione di avvertimento sulle tossicodipendenze“, che valuta il percorso dell’utilizzatore, il suo livello di consumo della sostanza e propone un sostegno psicologico o l’opportunità di accettare un trattamento di recupero finanziato dallo Stato. Il consumatore non ha l’obbligo di seguire queste indicazioni ma, qualora nell’arco di sei mesi fosse nuovamente inviato di fronte alla commissione, verrebbe penalmente punito con una multa.

In poco più di dieci anni, l’epidemia di AIDS è stata fermata, e il Portogallo, ad oggi, ha uno dei dati più bassi dell’Unione Europea come consumo di marijuana tra persone con più di 15 anni. Dati che dovrebbero far riflettere anche in Italia, dove, troppo spesso, si analizza la questione solo dal punto di vista economico. Peccato che mentre si decide chi tra mafia e Stato debba gestire il commercio, a rimetterci siano le vittime di quello che, in fondo, è soprattutto un problema patologico.