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Il caso di Fortuna Loffredo: Martedì l’udienza

Le parole della psicologa a Il Mattino

Martedì 17 Maggio si terrà l’udienza, al Tribunale del Riesame, chiesta dall’avvocato di Raimondo Caputo, l’uomo accusato di abuso e omicidio della piccola Fortuna.

La bambina, morì in circostanze misteriose il 24 giugno del 2014: portava con se i segni degli abusi sessuali reiterati, fino a quando non decise di ribellarsi alla violenza del suo orco, e per questo finì scaraventata giù dal tetto del palazzo in cui abitava. Questa sarebbe la ricostruzione degli eventi secondo la Procura di Napoli Nord che segue il caso di Parco Verde a Caivano.

La vicenda ha fatto molto discutere – non solo per il fatto in sé ma anche per il raid contro il palazzo avvenuto poco dopo l’arresto di Caputo e per le violenze che l’uomo e la compagna hanno subito in carcere – tanto che in udienza sarà presente oltre al Pubblico Ministero Claudia Maone, anche il procuratore aggiunto Domenico Airoma, che ha coordinato l’intera indagine.

Nei giorni 18 e 19, invece, avrà luogo l’udienza dell’incidente probatorio nel corso della quale verranno ascoltati i bambini che con le loro dichiarazioni hanno permesso l’arresto dell’uomo.

I piccoli sono stati seguiti per anni da Rosetta Cappelluccio, una psicologa che spiega durante un’ intervista a Il Mattino, come sia lento il percorso di emancipazione del bambino che ha subito abusi e continue raccomandazioni al silenzio.

“I bambini tendono a far sì che non resti traccia di certi vissuti drammatici nei loro ricordi. Ma ciò accade solo dopo che i piccoli hanno provato a protestare più volte con gli adulti senza essere ascoltati”.

Ci vogliono circa due anni affinché i bambini si sblocchino: «Con i bambini ci vuole tanta delicatezza e tanta accortezza anche perché non sempre gli indici di abuso sono evidenti. Per fare in modo che loro si sciolgano utilizziamo varie tecniche come il colloquio che li mette a proprio agio, oppure come il gioco e il disegno. Insomma li portiamo pian piano a ricordare il trauma vissuto per fare in modo che poi se ne liberino, non lo nascondano più».

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