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Isis: una guerra da combattere nel pensiero

02/07/2016, Dacca(Bangladesh),20 morti e, nello stesso giorno,Baghdad(Iraq), oltre 200 morti. 28/06/2016, Istanbul(Turchia), 41 morti ed oltre 200 feriti. 12/06/2016, Orlando(Stati Uniti), 49 morti e 53 feriti. 23/05/2016, presso le città di Tartus e Jableh(Siria), 120 morti. 22/03/2016, Orlando(Stati Uniti), 49 morti e 53 feriti. Sembra un breve nonché triste bollettino di guerra e, di fatto, lo è. Questi solo i più recenti attentati, numeri che hanno fatto la storia, cifre ancor più rotonde se si considerano i ben noti e non lontani attentati di Bruxelles, Parigi, Tunisi, Ankara, Nairobi e troppi ancora, indietro nel tempo. Forse non è ancora ben chiaro quanto stia avvenendo, ormai da anni, ma un nuovo conflitto, una guerra non convenzionale ed esplicitamente dichiarata, minaccia l’intera comunità internazionale, l’Europa, le nostre più consolidate tradizioni, le più comuni abitudini, ciò che a noi occidentali è più caro e sacro: il senso di libertà. Il comune sentire percepisce l’Isis quale potente organizzazione terroristica di matrice islamica, composta da fanatici extracomunitari, immigrati, uomini che non hanno nulla da perdere. Fosse soltanto questo, ci si ritroverebbe ad affrontare, per l’ennesima volta, un movimento del terrore destinato ad essere gestito e limitato in tempi più o meno brevi ma, purtroppo, l’Isis ha già dimostrato essere molto di più. Hanno conquistato territori che spaziano tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale, costituito su di essi un sedicente Stato, lo “Stato Islamico”, la cui guida carismatica e politica è l’autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Hanno coniato moneta, costruito scuole, ideato una bandiera, conquistato e perso territori dal Maghreb al Medio Oriente. Trafficano droghe, petrolio, schiavi, hanno potenti finanziatori ma, sopratutto, posseggono un’ideologia che attecchisce esponenzialmente nel tessuto sociale degli “islamici occidentali”e che rievoca battaglie di un lontano passato, inneggiando alla morte degli infedeli, alla “Guerra Santa”. La libera ed estremizzata interpretazione della shari’a, letteralmente  “la via(diritta) rivelata da Dio”, la “legge religiosa”, legittima, anche nei confronti dei “fratelli musulmani”, la sacralità e giustezza delle barbarie commesse. Nella Sura IX del Corano, cosiddetta “della conversione”, è infatti scritto:

“Quando poi saran trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli, ovunque in imboscate. Se poi si convertono e compiono la Preghiera e pagano la Decima, lasciateli andare, poiché Dio è indulgente, clemente.”(Cor. IX:5)

“Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero han dichiarato illecito, e coloro fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo, uno per uno, umiliati.”(Cor.,IX:29)

Imboscate, morte, umiliazione, sono un prezzo già pagato e che si continuerà a pagare. L’Islam moderato ha sempre preso le distanze da qualsivoglia interpretazione violenta l’Isis strumentalizzi per la sua causa. La libera interpretazione del Corano di uno, cento o milioni di uomini, la mancanza di una guida religiosa unitaria, di un “Papa Islamico”, alimenta la confusione e le innumerevoli ipotesi di “risoluzione del conflitto”. Ciò che desta terrore, oltre le sponde del Mediterraneo settentrionale, non è la bandiera nera sventolante nella lontana Al-Raqqa piuttosto che i proclami di guerra dell’ennesimo dittatore fondamentalista, ma quel pensiero islamico giustizialista che, si diffonde, a macchia di leopardo, tra i figli della Rivoluzione Francese, nel mondo occidentale ed in tutto ciò che esso rappresenta. Le limitazioni delle nostre libertà, in prossimità di quelli che, ormai, vengono considerati “obbiettivi sensibili”,  sono già un segno evidente di debolezza del sistema politico-economico-demografico costruito sino ad oggi. Il frutto del colonialismo, ha prodotto una sistematica, lenta, silenziosa e progressiva invasione nel “vecchio continente” di popoli in fuga dai Paesi del Maghreb, dell’Africa Centrale, dell’Oriente, in cerca di riscatto sociale, di diritti, di dignità. Secoli di colonialismo politico-economico hanno esacerbato gli animi, accresciuto il disprezzo, caricato di odio e violenza non una nazione, ma una “religione”e, quando si combatte un pensiero, un convincimento radicato nelle tradizioni, nella fede e nella speranza di un’esistenza migliore, non è sufficiente “uccidere il re”. L’ 11 settembre 2001 ha dato vita ad una guerra ad Al-Qaida, ai suoi amici Talebani ed al suo capo carismatico, Osama Bin Laden. Eravamo tutti, o quasi, convinti che, eliminando i colpevoli con la forza, bombardando Iraq, Afghanistan ed ogni altro Stato “utile”, occupando quei territori con eserciti organizzati, con le multinazionali, “suggerendo” nuove forme di governo amiche della “democrazia” occidentale, avremmo vissuto in un mondo migliore. Al-Qaida è stata smembrata, Osama ucciso e cosa è cambiato? Tutto! L’11 settembre 2001 ha suggerito una “nuova strada” da seguire per chi sarebbe venuto, l’anno zero di un nuovo periodo storico, l’alba dell’ esercito del terrore: l‘Isis. Gli ultimi due anni ci hanno mostrato che, acquisire la “cittadinanza”dello Stato Islamico ed entrare a far parte delle sue milizie, per compiere una missione, morire da martire e guadagnare il paradiso, è molto semplice: basta crederci! Non esistono più barriere o confini, i messaggi di terrore viaggiano attraverso la rete e colpiscono, ovunque e chiunque, senza distinzione, senza alcuna pietà, senza un criterio. L’invasione è iniziata da anni, ma  non ci sono generali da catturare o reggimenti da affrontare, la posta in gioco è molto più alta, si combatte contro i “martiri”, in ballo c’è il “Paradiso”. L’uomo può sconfiggere l’uomo, ma non può nulla contro la parola di un Dio. Governanti, re, presidenti o dittatori che siano si succedono, muoiono, si sconfiggono, si sostituiscono, ma un Dio no. Uccidere il Califfo senza delegittimare un pensiero sbagliato, un’interpretazione di morte, non servirebbe ad altro che accrescere quel giustizialismo che, secoli or sono, diede vita alle Guerre Sante, alle Crociate e ad inutili fiumi di sangue. E’ indubbio che l’Isis debba essere combattuto e debellato, ma come e da chi? Come può sconfiggersi un pensiero estremista ed ortodosso alla base di uno Stato religioso, che riesce ad attrarre a se, continuamente, nel mondo, uomini di ogni etnia e classe sociale? Una risposta, oggi, non c’è, non esiste una verità assoluta, tanto meno una proposta tale da consentire una soluzione certa del problema. Sarebbe suggestivo nonché auspicabile, però, immaginare Europa e Stati Uniti, poter aiutare da amici e non da “dominus”, quei popoli che, in Medio Oriente ed in ogni territorio in cui l’Isis abbia fatto breccia, hanno subito l’invasione del sedicente stato e che, con l’aiuto richiesto ma non imposto, sappiano riappropiarsi della loro perduta sovranità territoriale, affidando alla loro Giustizia, tali criminali di guerra. Sarebbe ancor più suggestivo, vedere l’Occidente dare sfoggio di tutti i suoi principi di democraticità e libertà, facendo “due passi indietro”da quei territori, lasciandoli liberi di decidere del loro destino, così come i crociati di un tempo, rinunciando alle “colonie”, al “sacro business”, in favore di un bene superiore: il diritto ad un’esistenza libera, per tutti.