Martedì, 11 settembre 2001. 19 affiliati di al Qaida dirottano quattro voli civili commerciali. Due si schiantano a New York, disintegrando le Twin Towers; un terzo colpisce il Pentagono, e l’ultimo precipita in Pennsylvania, diretto forse alla Casa Bianca, forse al Campidoglio. Si contano quasi 3000 morti, perlopiù civili. La televisione trasmette in diretta in tutto il mondo le strazianti richieste d’aiuto che arrivano dagli edifici in fiamme, le disperate cadute nel vuoto di chi sceglie di morire il più velocemente possibile e, in fine, il crollo delle due torri, che scompaiono nel nulla sostituite da una colonna di fumo nero.

Se sono passati quindici anni e quei ricordi ancora non sbiadiscono non è solo per il livello estremo di drammaticità delle immagini o per il numero di volte in cui ci sono state riproposte. La verità è che eravamo impreparati. Lo si è sempre probabilmente, ma l’11 settembre 2001 lo eravamo più che mai. È questo quello che distingue l’attentato alle Torri Gemelle da tutte le stragi terroristiche successive: l’animo con cui sono state accolte.

Di fronte al primo dei due aerei che si schiantarono contro i grattacieli del World Trade Center ci siamo potuti addirittura permettere il lusso di domandare: “è stato un incidente?”. Il secondo aereo ci avrebbe risposto poco dopo.

Oggi, di fronte a una strage, l’ipotesi di attentato di matrice islamista è quella che tendiamo ad avanzare per prima, anche quando non disponiamo di alcun indizio che vada in quella direzione. Siamo più “preparati al terrorismo” nel senso più macabro dell’espressione: lo vediamo dappertutto, condiziona i nostri progetti, ci fa annullare i viaggi, cambia il nostro atteggiamento nei confronti degli stranieri.

Al Qaida era (ed è) un nemico relativamente silenzioso. Ha ucciso 3000 persone nel 2001 e rivendicato l’attentato ai danni della redazione di Charlie Hebdo; addirittura Ayman Al Zawahiri, leader dell’organizzazione, è riapparso in video solo pochi giorni fa per esortare i musulmani a continuare a combattere contro gli USA e gli alleati. Eppure, è solo con l’ascesa dello Stato Islamico che la nostra percezione del terrorismo è cambiata, influenzata tanto dai numerosi attacchi in Europa quanto dalla nuova attenzione che i jihadisti riservano alla propaganda. L’Isis usa le nostre moderne e tecnologiche forme di comunicazione e, se pensiamo a certe campagne, come quella pro fertility day, viene da dire che addirittura sappia farlo meglio di noi.