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53° anniversario di “I have a dream”, il celebre discorso di Martin Luther King.

Il 28 agosto 1963 la marcia di Washington si concludeva con il discorso di Martin Luther King, che davanti a più di duecento mila persone pronunciava la famosa e suggestiva frase I have a dream.

Il posto scelto era altamente simbolico: il palco si ergeva davanti al Lincoln Memorial dove il reverendo King ricorda il centesimo anniversario della Proclamazione dell’Emancipazione con cui il presidente Abraham Lincoln nel 1863 liberava 4 milioni di schiavi.

“Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmò il Proclama dell’emancipazione. Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattività. Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono passati cento anni, e la vita dei neri è ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione.”

Martin Luther King parlava della segregazione razziale, tempi crudeli in cui white people only e coloured separavano tutto, dai bagni alle fontanelle dell’acqua, dai sedili degli autobus alle scuole pubbliche. Cento anni di escamotage per relegare i neri ai margini della comunità, per ghettizzarli e privarli di ogni potere, per aggirare quell’uguaglianza che il XIV e il XV Emendamento avevano provato ad affermare. Già nel 1887 la prima delle Leggi di Jim Crow entrò in vigore in Florida: prevedeva che in treno ci fossero scompartimenti separati per le due “razze”, secondo il perverso principio di “separati ma uguali”. Presto il sistema segregazionista si estese ad ogni settore. L’imposizione di una tassa elettorale e del test di alfabetizzazione escluse di fatto dal diritto di voto migliaia di cittadini di colore: in Louisiana nel 1896 le liste elettorali contavano134.344 afroamericani, ma nel 1900 solo 5.320. L’ imposta elettorale e l’esame di cultura cancellarono dalle liste anche molti bianchi, e per trovare una scappatoia che consentisse al proletariato bianco di votare nel 1889 venne introdotta la strategica, per quanto sfacciata, clausola del nonno, secondo cui avevano comunque diritto al voto tutti i maschi adulti il cui padre o nonno avevano votato prima del 1867.

Il clima di odio razziale, alimentato da una propaganda sulla supremazia della razza bianca, scatenava spesso violenti attacchi contro i quartieri residenziali della gente di colore, e frequenti erano i linciaggi impuniti, soprattutto nel sud degli Stati Uniti. Mentre nel nord i neri venivano confinati in ghetti e relegati ai lavori più umili e malpagati.

Il sociologo Aldon D. Morris, nel suo approfondito saggio “The Origins of the Civil Rights Movement” individua l’esistenza negli anni ’50 di un sistema tripartito di dominazione razziale: “Gli afroamericani erano controllati economicamente perché relegati ai lavori più umili, politicamente attraverso restringimenti del diritto di voto e personalmente con poliziotti che utilizzavano un sistema di terrore, brutalità e aggressioni. Anche il sistema giudiziario era in mano ai bianchi, come tutte le strutture di potere che i bianchi utilizzavano in modo escludente.” La segregazione razziale fu un complesso di regole e di azioni che dava come risultato l’esclusione dei neri dalla comunità e li etichettava come razza inferiore. Evidente in ogni luogo il sistema di soggiogamento negava dignità umana e rispetto per la persona.

Le proteste di massa per i diritti civili erano cominciate nel 1953 a Baton Rouge in Louisiana con il boicottaggio degli autobus segregazionisti . Dopo il successo del Baton Rouge Bus Boycott il movimento di protesta non violenta replicò anche a Montgomery, Tallahassee e Birmingham tra il ‘55 e il ‘56 . Il primo dicembre 1955 a Montgomery la Signora Rosa Parks, all’epoca instancabile lavoratrice cinquantenne, venne arrestata per essersi rifiutata di cedere il posto ad un giovane bianco.

Martin Luther King era presidente dal 1955 della Montgomery Improvement Association, nata sull’onda dei boicottaggi agli autobus segregazionisti. Dopo l’arresto della Parks, di due studenti universitari e le persecuzioni del National Association for the Advancement of Colored People, i movimenti delle varie città decisero di unirsi e danno vita nel 1957 alla Southern Christian Leadership Conference ad Atlanta. Le attività, nate da una politica fermamente non violenta, erano i sit-in nelle tavole calde vietate ai coloured, i boicottaggi degli autobus e i freedom riders, viaggi di gruppi di giovani che documentavano le discriminazioni che subivano negli spostamenti.

A Washington il movimento per i diritti civili era nel pieno del suo entusiasmo. Uniti e compatti erano appena riusciti a liberare dal segregazionismo una delle città più violente del tempo, Birmingham, dove nel 1963 sembrava non avessero mai conosciuto Lincoln e gli emendamenti contro la schiavitù. Lo stesso King scrive “L’estate del ’63 è stata una rivoluzione perché ha cambiato il volto dell’America. La libertà era contagiosa: la sua febbre ribolliva in quasi mille città e molte migliaia di tavole calde, alberghi, parchi e altri luoghi non erano più soggetti al segregazionismo”.

Dagli scritti del reverendo si legge la passione e l’ardore di quei giorni di speranza e di lotta: “Il 28 agosto oltre 200 mila persone, bianchi e neri, di tutte le religioni, di ogni ceto, si riunirono insieme davanti al monumento di Abraham Lincoln. Venivano da tutti gli stati, avevano usato ogni possibile mezzo di trasporto, avevano rinunciato alla paga delle giornate di lavoro, avevano sostenuto con fatica il costo del viaggio. Quell’immensa moltitudine era il cuore vivo e pulsante di un movimento di infinita nobiltà. Era un esercito senza armi, ma non privo di rigore. Erano bianchi, neri, di ogni età, appartenevano a tutte le classi, a tutte le professioni, a tutti i partiti politici e condividevano lo stesso ideale. Era un esercito combattente, ma la sua arma più potente era l’amore.”

Il Civil Rights Act, la legge sui diritti civili, fu emanata dal presidente Lyndon B. Johnson il 2 luglio 1964 alla presenza di Martin Luther King. Entrambe le camere del congresso approvarono un testo che rappresentava l’affermazione, monumentale e storica, della verità enunciata dal presidente Thomas Jefferson, secondo cui “tutti gli uomini sono uguali”. Il disegno di legge, di cui il presidente John F. Kennedy, assassinato 8 mesi prima, era stato il primo promotore e caldeggiatore, fu approvato grazie all’attivismo non violento di milioni di americani.

 

“Adesso è il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternità. Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.”

 

 https://www.youtube.com/watch?v=H0yP4aLyq1g

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