giovedì, Marzo 28, 2024
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A reform of One’s Own: l’autoriforma delle banche cooperative di Federcasse

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La lunga attesa per la sospirata e travagliata riforma delle banche cooperative sembra stia per finire. Dopo diversi mesi di voci, smentite e vivaci confronti tra interessati e addetti ai lavori, l’avv. Azzi, nel seminario organizzato al Senato, il 15 ottobre scorso, ha illustrato il testo dell’autoriforma che la Federcasse, l’Associazione da lui presieduta, era stata incaricata di sviluppare.
Il Presidente, dapprima soffermandosi sui traguardi raggiunti dalle BCC nell’intermediazione creditizia, ha poi spiegato i contenuti essenziali della proposta di autoriforma approvata dal Credito cooperativo e come tale presentata alle Autorità.
L’avv. Azzi, ha tenuto a precisare che il progetto dell’autoriforma, perfettamente rispondente alle richieste delle Autorità centrali di “migliorare la governance del sistema operativo, di allocare in modo più efficiente le risorse patrimoniali al suo interno e di aprire il sistema del Credito Cooperativo ai capitali esterni”, è stato inoltre integrato con le esigenze affiorate nei numerosi confronti tra i rappresentanti del Credito cooperativo e il Comitato esecutivo di Federasse. In particolare, si è anche ritenuto importante “valorizzare la dimensione territoriale e l’autonomia delle singole BCC in funzione della loro meritevolezza, di semplificare le filiere, eliminare le ridondanze, accrescere l’efficienza e garantire l’unità del sistema”.
Proseguendo con la relazione, il Presidente ha semplificato i contenuti della proposta di riforma nei seguenti dieci punti essenziali:
Punto 1. Il socio della BCC al centro.
Punto 2. La BCC integrata in un Gruppo.
Punto 3. La previsione di garanzie in solido tra le BCC e la Capogruppo.
Punto 4. Il contratto di coesione e l’autonomia modulata delle BCC.
Punto 5. L’assetto e la governance della Capogruppo.
Punto 6. L’apertura a capitali esterni e l’indipendenza del Credito Cooperativo.
Punto 7. La dimensione territoriale.
Punto 8. I requisiti qualitativi e dimensionali del Gruppo.
Punto 9. L’unità del sistema BCC e le specificità delle Raiffeisen.
Punto 10. Le funzioni di garanzia e verifica delle finalità mutualistiche a componente associativa.
Il primo punto non presenta nessuna innovazione e mira a preservare la mutualità lasciando all’assemblea dei soci di ciascuna BCC il potere di nomina dei membri componenti gli organi di amministrazione e controllo.
Al punto due viene stabilito che la condizione per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo è subordinata alla necessità di aderire (al) Gruppo Bancario Cooperativo. La parola “gruppo” è sempre usata al singolare e ogni volta preceduta dall’articolo determinativo lasciando supporre un unico grande gruppo nazionale a capo del sistema cooperativo. Aderendo al Gruppo, ogni banca cooperativa rimarrebbe titolare del proprio patrimonio e il controllo societario del Gruppo sarebbe detenuto dalle stesse BCC. Se una BCC decidesse di non aderire al Gruppo, andrebbe incontro alla liquidazione, oppure alla trasformazione in una spa o banca popolare e dovrebbe devolvere le riserve indivisibili accumulate ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Il punto tre è piuttosto sintetico e si limita a introdurre le garanzie in solido tra le singole BCC e la capogruppo precisando che la garanzia non deve “rappresentare un alibi per gestioni incapaci e azzardate”. Viene, però, da chiedersi: se la capogruppo interviene a copertura di eventuali crediti deteriorati, non è certo facile trovare motivazioni diverse da una gestione azzardata e incapace.
Al punto quattro si parla del grado autonomia gestionale delle Bcc “modulato” in funzione della meritevolezza e “sulla base di parametri oggettivamente individuati” e ancora da definire.
Con il punto cinque: la Capogruppo dovrebbe svolgere un’azione di direzione e di controllo e “garantire la stabilità, la liquidità e la conformità alle nuove regole dell’Unione Bancaria”.
La patrimonializzazione del sistema viene esaminata al punto sei, dove si propone che la Capogruppo “possa aprirsi alla partecipazione di capitali esterni sino a un massimo del 49% del suo capitale sociale”. La quota di maggioranza resterebbe, secondo il testo proposto, alle controllanti (e controllate) BCC, ma è evidente che in caso di discordia tra le diverse BCC facenti parte del gruppo si potrebbe raggiungere la soglia del 51% utilizzando sia capitale delle banche e sia capitale esterno, escludendo in tal modo una minoranza di banche dalla gestione.
Il punto sette, unitamente al punto dieci, figura la necessità di un “riassetto – nella direzione di una riduzione numerica e di una concentrazione di funzioni… anche procedendo ad aggregazioni”. E probabilmente non prevedere doppioni di BCC nello stesso territorio, non solo eliminerebbe definitivamente la concorrenza interna, ma potrebbe anche ispirare una gestione monopolistica del credito mutualistico. Inoltre, la riduzione numerica degli sportelli di certo avvierebbe anche un processo di razionalizzazione delle risorse umane.
I punti 8 e 9 sono un’ulteriore celebrazione del gruppo unico, forte, competitivo nei costi quanto completo e vario nella gamma dei servizi offerti. In tali punti, traspare fortemente quell’aspettativa di struttura unita, senza frammentazione e a capo dell’intero sistema delle banche cooperative.
La relazione presentata dell’avv. Azzi, per certi versi ricorda un programma elettorale che pone la candidatura di un unico gruppo (Iccrea, espressione di Federcasse) a capo del sistema cooperativo. E, difatti, nove dei dieci punti sopra elencati trattano dell’unica e ipotetica spa a capo delle BCC e solo il primo punto, che tra l’altro rimane sostanzialmente immutato, ha come oggetto l’avvenire delle banche territoriali e il futuro dei loro soci.
In tale documento non c’è nessun accenno alla soglia minima di capitale della capogruppo, né tanto meno compaiono i criteri che fissano l’ingresso delle singole BCC nel gruppo costituitosi.
L’intervento di Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia, sopperisce a tale mancanza e ipotizza un livello minimo di capitale (un miliardo?) “che non dovrebbe essere tanto elevato da inibire la possibilità, ove espressa dal mercato, di costituire più gruppi – può essere fissato direttamente dalla legge; la legge potrebbe demandare alle norme secondarie la possibilità di incrementarlo”.
Barbagallo apre la relazione sulla necessità e sull’urgenza della riforma, pena il mantenimento del credito mutualistico e territoriale, concorda sull’esigenza di aprire ai capitali esterni e ritiene efficace la riforma solamente se incentrata sul modello di gruppo cooperativo paritetico.
In tale gruppo paritetico i diritti e gli obblighi della capogruppo e Banche di credito associate deriverebbero da un contratto di coesione e non da “legami partecipativi”.
“Per assicurare adeguata unitarietà strategica e operativa, il contratto dovrebbe regolare, fra l’altro: i controlli e i poteri di influenza della capogruppo sulle società del gruppo, volti ad assicurare il rispetto della disciplina prudenziale applicabile al gruppo e alle singole banche; i poteri della capogruppo in materia di nomina e revoca degli organi delle controllate e le relative forme di esercizio, necessari per un’effettiva attuazione degli indirizzi strategici, nel rispetto dell’autonomia degli organi societari delle BCC; le sanzioni applicabili in caso di gravi inosservanze”.
L’intervento di Barbagallo tratta, definendoli fondamentali, anche le condizioni di ingresso delle Bcc nel gruppo e ipotizza dapprima la costituzione della capogruppo su iniziativa delle stesse Bcc e successivamente la richiesta presentata dalle banche cooperative di farne parte. “La competenza a deliberare sulla richiesta potrebbe essere riservata agli organi di vertice della capogruppo; la richiesta sarebbe tacitamente accolta tutte le volte in cui essa non sia respinta espressamente sulla base di una motivazione che potrebbe essere unicamente fondata sul mancato rispetto dei criteri oggettivi e non discriminatori stabiliti nel contratto di gruppo. L’efficacia del meccanismo sarebbe assicurata dal ruolo dell’autorità di vigilanza, che potrebbe verificare ex ante i criteri di ammissione stabiliti in contratto e autorizzare le decisioni di ammissione e rigetto relative alle singole BCC”.
Per l’opting-out, il dirigente della Banca d’Italia esclude ogni possibilità di uscita dal credito cooperativo senza la devoluzione del patrimonio, accumulato in regime di esenzione da imposta sui redditi, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Insomma dei perni per la riforma ci sono e si identificano nelle concordanze tra le autorità e la Federcasse. Il governo, chiamato a recepire la riforma, non potrà non tenerne conto e sicuramente si esprimerà favorevolmente alle richieste di aprire il sistema del Credito Cooperativo ai capitali esterni. Con ogni probabilità, l’esecutivo accetterà senza modifiche anche le condizioni di uscita così come indicate nelle due relazioni e invoglierà con specifiche norme l’aggregazione territoriale. Decidere sui sistemi di controllo e sulle specifiche della capogruppo sarà meno agevole e anche la più ponderata pronuncia finirà per creare qualche malcontento o deludere delle aspettative. In ogni caso e con un intendimento di buonsenso, le proposte di riforma esposte nella relazione del capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia, potrebbero essere convertite in legge senza modifiche sostanziali e prevedendo senza riserve più soggetti aggregatori.