Non si conosce il suo nome, né la sua età, e non è stata resa pubblica la malattia da cui era affetto. Tutto quello che si sa, al momento, è quanto scrive il quotidiano fiammingo Het Nieuwsblad: “per la prima volta nel nostro Paese un minorenne è morto per eutanasia“. Quello che si è verificato in Belgio è il primo episodio al mondo, possibile grazie a una legge che, nel 2014, ha esteso la possibilità di “dolce morte” anche ai minori, a condizione che soffrano di una malattia incurabile allo stadio terminale e che entrambi i genitori siano d’accordo. Inoltre è necessario che sia il soggetto stesso ad esprimere la volontà di ricorrere al suicidio assistito.
Quest’ultimo punto ha rappresentato la ragione di numerosi dissensi, soprattutto in fase di approvazione della normativa. Un bambino è abbastanza consapevole da prendere una decisione tanto delicata? La scelta congiunta, in cui sono coinvolti tanto il paziente quanto familiari ed esperti, dovrebbe in realtà servire proprio ad evitare un’impennata di richieste dettate più dall’incoscienza che dalla reale volontà. C’è anche, però, chi la classifica come una contraddizione rispetto al diritto di autodeterminazione.
Wim Distelmans, capo del Dipartimento di controllo federale e valutazione dell’eutanasia, ha dichiarato che sono pochissime le richieste di minori arrivate finora. Su questo aspetto, addirittura, si potrebbe azzardare il ragionamento opposto: non è possibile che i numeri siano condizionati anche dalle scelte di genitori che, comprensibilmente troppo coinvolti a livello emotivo, insistono nel tenere in vita il proprio figlio tanto per amore quanto per egoismo?
In Italia non sono questi gli interrogativi che si affrontano, e non è di riflessione l’atteggiamento con cui è stata accolta la notizia arrivata dal Belgio. La morte di un bambino, in una nazione così condizionata da certi dogmi, non può che destare scandalo. Se fosse stato un adulto, sarebbe cambiato poco. Avremmo ripetuto che la vita è sacra, e che un medico non ha alcun diritto di porle fine. Fatto sta che bisognerebbe chiedersi, ogni tanto, fin quando si possa parlare di vita e che diritto abbiamo noi di giudicare, senza conoscere la sofferenza di un malato né quella di una famiglia che lo guarda consumarsi nel dolore ogni giorno.
Quello che è grave, poi, è che il nostro Paese continui a lasciare che le questioni più spinose si consumino al bar. Intanto il numero di suicidi assistiti illegali aumenta: un’inchiesta di Pagin99 ha dimostrato che un dottore su due che lavora con pazienti terminali ha ricevuto almeno una richiesta di interruzione della terapia, mentre al 23% è stata chiesta la somministrazione di farmaci letali, inoltre circa 90mila malati terminali muoiono ogni anno e il 65% si fa aiutare dai medici per smettere di soffrire.
Insomma, forse, rispetto al Belgio non abbiamo esattamente le mani pulite. Più semplicemente, magari, siamo più abituati a lavare via il sangue.