Cecilia Sala, reporter detenuta per circa 20 giorni nel carcere di Evin a Teheran, in Iran, racconta per la prima volta le giornate di lunga agonia trascorse in una cella buia, lontana dal mondo.
Ospite a “Che tempo che fa”, la giornalista avvia il racconto, partendo dal giorno del suo arresto:” Mi hanno prelevata nella mia camera d’albergo mentre stavo lavorando. In macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito che mi stavano portano in carcere dal rumore del traffico e dalla strada che stavamo facendo.”
A pochi giorni da Natale, Cecilia sarebbe dovuta salire su un aereo che l’avrebbe portata in Italia dalla sua famiglia. Su quell’aereo non ha messo piede, poiché portata nel cercare di Evin a Teheran. Riferisce: “Ho capito di essere un ostaggio quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l’unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione”
La sua vita, in quei giorni, la descrive così: “Nei primi 15 giorni della detenzione mi interrogavano tutti i giorni. Il giorno prima del rilascio mi hanno tenuta dieci ore di fila, sempre incappucciata. In uno degli interrogatori sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona in perfetto inglese e da quello che diceva capivo che conosceva molto bene l’Italia”.
Dopo ore ed ore trascorse in isolamento, senza un letto, cibo e servizi di prima necessità, arriva la liberazione:” Pensavo che le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l’intelligence iraniana. Credevo mi stessero portando in una delle loro basi militari, quando poi all’aeroporto militare mi hanno sbendata e ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita“.