La direttrice di Rai 3 fresca di nomina, Daria Bignardi, lo scorso martedì ha convocato tutte le costumiste e truccatrici della rete e ha dettato le nuove disposizioni sull’immagine dei conduttori e giornalisti video.
Un “dress code” austero che prevede il divieto assoluto di abiti fascianti, tubini (rigorosamente banditi quelli di colore nero), tacchi alti e scollature sexy.
Un messaggio chiaro soprattutto verso le donne a stipendio della terza rete che appare in linea con la “rivoluzione giacobina” che la nuova dirigenza vuole portare nello stile e nelle offerte contenutistiche del palinsesto.
“Quando sarà il momento giusto parleremo di Ballarò e del suo brand, ci sto lavorando in queste settimane, ma la prima persona che saprà cosa diventerà Ballarò sarà Massimo Giannini e non un giornale”. Così commenta Daria Bignardi in un’intervista esclusiva al direttore de Il Foglio Claudio Cerasa.
“Che senso ha fare talk show che durano tre ore? Guardate in giro per il mondo. Solo in Spagna e in Turchia ci sono talk d’informazione politica che durano più di un’ora. Dovremmo rinunciare a format tirati per le lunghe a favore di format corti. Pochi ospiti, velocità, ritmo, messaggi immediati”.
“La notizia è che su Rai 3 ci saranno due strisce quotidiane. Una di satira e informazione dopo le 23.30 in seconda serata, e una in access prime, come si dice, ovvero tra le 20 e le 20.30 circa. Una striscia di informazione politica, con le notizie di giornata”, continua la Bignardi.
La vecchia Rai delle spartizioni politiche è agli sgoccioli
La Bignardi afferma: “Non è più l’epoca delle lottizzazioni, dei politici che mandano pizzini con le raccomandazioni ai direttori. Non parleremo solo a una parte del paese, parleremo a tutti, senza partigianeria, con pluralismo, raccontando il paese senza farci influenzare.
Il nuovo obiettivo, una rete in cerca di un pubblico più giovane
“Vorremmo riuscire ad abbassare almeno di cinque anni l’età media media del telespettatore di Rai 3 e per questo credo siano importanti programmi come Gazebo. Hanno una vocazione minoritaria, certo, ma parlano a un pubblico diverso che anche grazie a questi programmi si avvicina per la prima volta alla tv”.