giovedì, Marzo 28, 2024
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Discutendo di mafie, quando si potrà domandare con quali mezzi e quali misure lo stato italiano è riuscito a debellarle?

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Alcuni giorni or sono nel capiente auditorium della mia scuola, l’ITE A. Sacco di Sant’Arsenio, si è tenuto un incontro per presentare l’ultimo lavoro editoriale di Isaia Sales “Storia dell’Italia Mafiosa”. Come si può facilmente intuire dal titolo, il libro parla di mafie e ne racconta le nascite, la penetrazione nei poteri dello stato e la versatilità nell’adattarsi al progresso tecnologico sociale ed economico.

Non ho ancora letto il libro, non ne conoscevo l’esistenza, e perciò il mio articolo non può essere inteso come una recensione dell’opera, semplicemente è un sintetico resoconto della conferenza con delle considerazioni, per niente “avalutative”, originate dalla circostanziata e stimolante presentazione dell’autore.

Il prof. Sales ha sostenuto che le mafie sono nate nelle zone ricche, non nella Lucania di Levi e nemmeno nella Calabria dell’Aspromonte, bensì nella piana di Gioia Tauro e nei ricchi territori del casertano. Le mafie, inoltre, non combattono lo stato né gli si contrappongono, più convenientemente, ci convivono corrompendolo. Se le mafie arrivassero alla guerra con lo stato, ne uscirebbero certamente perdenti com’è già avvenuto con la pirateria, il brigantaggio e altri fenomeni malavitosi del passato.

La relazione del professore è così ben articolata, fluida, convincente e persuasiva che non lascia spazio a riflessioni ragionate e discordi. Le sue tesi, così ben difese ed eloquentemente presentate, hanno avuto un effetto pressoché ammaliante e tanto hanno attivato l’ascolto e l’attenzione da sospendere quasi del tutto le facoltà di critica e di pensiero dei partecipanti all’incontro. Ed è una sensazione che deve aver provato l’intera assemblea perché, per tutta la durata della relazione, non uno degli alunni presenti ha mostrato insofferenza o irrequietezza. Semmai un po’ di impazienza alcuni studenti però devono averla avvertita, altrimenti perché tanti avrebbero chiesto di intervenire al termine della presentazione dell’autore? Non c’è stato, infatti, assolutamente bisogno di sollecitare gli studenti affinché partecipassero al dibattito finale, tant’è che, immediatamente dopo che il moderatore ha concesso l’utilizzo del microfono alla platea, c’è stato un susseguirsi di domande, tutte molto pertinenti al tema della conferenza, poste al relatore.

Da parte mia ho seguito con grande interesse la dissertazione del prof. Sales riflettendo attentamente sulle sue conclusioni logiche che avevano il fine di confortare la tesi fondamentale del suo lavoro: le mafie sono nate dove c’era ricchezza e non sono la naturale evoluzione del brigantaggio o di altri fenomeni malavitosi. Devo anche ammettere che per la quasi intera durata della presentazione ero in piena sintonia con l’autore senza essere in grado di produrre rilevanti osservazioni critiche o discordanti. Qualche perplessità è balenata quando, sentendo pronunciare il termine violenza, gli innumerevoli efferati episodi di stragi, esecuzioni o delitti dimostrativi mi hanno prepotentemente ricordato che le mafie sono soprattutto violenza. E in uno stato che ci convive, le mafie sono la parte violenta dello stato.

Tutte le forme di dominio in passato hanno utilizzato la violenza per reprimere, consolidare e rafforzare forme di autoritarismo e di potere sui cittadini. Mio padre sosteneva che il fascismo aveva sconfitto definitivamente il brigantaggio e non c’erano altre forme di violenza nel Paese se non quella di regime. Per governare uno stato, però, non occorre che debba essere usata necessariamente, direttamente o indirettamente, la violenza; questa serve solamente quando un potere non è sufficientemente legittimato e soprattutto quando manca la legittimazione “derivante dalla credenza nella equità-giustizia della legge stessa”.

L’Europa del nord rientra tra le zone più ricche del pianeta e registra uno dei più bassi tassi di criminalità organizzata. In quei paesi le mafie non esistono e comunque, qualora fossero presenti, non hanno legami con lo stato. Eppure tali forme di governo non usano assolutamente violenza, sono anzi tra le più evolute e democratiche nella gestione del potere.

Le mafie crescono e si sviluppano nei paesi ricchi, la cui ricchezza è, però, iniquamente distribuita. Inoltre, le mafie prediligono governi con leggi violabili e addomesticabili.

Oggi, quasi ovunque le mafie si finanziano principalmente con il commercio della droga per poi riciclare gli enormi e illeciti profitti in attività (pulite) commerciali, turistiche, alberghiere o di controllo societario. Le mafie non si contrappongono allo stato, ci convivono e utilizzano, attraverso una preventiva e mirata opera di corruzione, responsabili e rappresentanti delle varie istituzioni per ottenere legalità, favori, privilegi, appalti e concessioni così da poter sfruttare vantaggiosamente qualsiasi frangente, congiuntura o anche emergenza di natura politica, naturalistica e sociale. La gestione dei rifiuti in Italia e “The Noble Experiment” del secolo scorso negli USA, sono alcuni degli esempi più significativi.

Le mafie prosperano nei territori ricchi, ma necessitano di fasce di società povere e scarsamente scolarizzate dove poter arruolare quella manovalanza indispensabile al compimento delle azioni di estorsione, regolamento di conti, minacce o smercio illegale. D’altronde, non si provano grandi rimorsi a vivere da fuorilegge quando si è poveri e semianalfabeti.

Discutere di mafie è, purtroppo, la sconfortante conferma dell’esistenza di una piaga sociale che spesso, fuori confine, ci caratterizza. Chissà se un giorno una conferenza sullo stesso tema potrà avere termine con la domanda: “con quali mezzi e quali misure lo stato italiano è riuscito a debellare le mafie”?