martedì, Marzo 19, 2024
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Ernesto Chevanton dall’Uruguay: storia di un uomo-bandiera che ha fatto sognare Lecce

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Si chiama Ernesto Javier Chevanton e nasce a Juan Lacaze, in Uruguay, il 12 agosto del 1980. Qualcuno se lo ricorderà, altri avranno vuoti di memoria. Fatto sta che ci riferiamo ad calciatore come tanti, ma che forse aveva qualcosa in più rispetto ai suoi colleghi più illustri: l’umiltà. Qualità sempre più rara nel calcio moderno e lussuoso dei nostri tempi. Quel tatuaggio di Che Guevara lo descrive anche meglio di qualsiasi altra parola. Diciamo aveva perché il buon Ernesto ha deciso di appendere le scarpette al chiodo. Dopo una carriera vissuta tra alti e bassi lascia, dunque, il calcio giocato. Ripercorriamola in tutta la sua essenza: parte tutto dal Danubio, prima squadra professionistica. Lì è di casa e conquista subito il pubblico locale con una classe sopraffina. Vero bomber di razza. Corre l’anno 2001. Pantaleo Corvino, l’allora direttore sportivo del Lecce, decide di ingaggiare questo ragazzo del Sudamerica e punta tutto su di lui per portare i salentini ad un’altra permanenza in Serie A sul campo. Si capisce dal primo momento che ha voglia di fare e mettersi in mostra. La fame non gli manca e nemmeno la tecnica. E’ l’uomo giusto in grado di accendere l’entusiasmo dei propri sostenitori, di mettere il cuore oltre l’ostacolo. A Via del Mare lo ricordano bene. Quell’esordio non lo dimenticherà nessuno, datato 26 agosto 2001, in Serie A contro il Parma. Bastano due minuti a questo folletto di 1 metro e 72 centimetri per insaccare la sua prima rete e conquistare la grande platea. La squadra affonda in Serie B, ma lui la riporta al vertice a suon di gol e giocate, dimostrando grande attaccamento a quei colori. Il gol più emozionante per tutti i salentini certamente quello al San Nicola di Bari dell’ottobre 2002. Basterebbe questo per entrare nel cuore dei tifosi. Con Vucinic e Bojinov forma una tris di attaccanti invidiabile. Parliamo un po’ dell’uomo: Chevanton è sempre stato un tipo molto particolare, senza troppi peli sulla lingua, che in alcuni momenti poteva sembrare anche scomodo. Una personalità forte, difficile da ingabbiare in schemi rigidi e che mai ha avuto paura di prendersi qualsiasi tipo responsabilità. Lui ha scelto Lecce come seconda casa, forse anche prima, ed il matrimonio con la sua Sandra Bruno è solo l’ulteriore conferma che a quella terra rimarrà per sempre legato. Gira il mondo tra Monaco e Siviglia, ma la testa è sempre lì. Certi amori fanno giri immensi e poi ritornano. Atalanta piccola parentesi. Nulla di più. Tenta anche l’avventura in Argentina con il Colon, ma la rottura del tendine di Achille lo costringe ad un lungo stop con conseguente addio al termine della stagione. Il 12 luglio 2012 è il giorno del ritorno del figliol prodigo: Ernesto torna per la terza volta in salento, voluto fortissimamente dal nuovo direttore sportivo del Lecce Tesoro, che gli fa firmare quello che si può considerare il primo contratto a tempo indeterminato nella storia del calcio. Trattasi di uno stipendio da 900 euro mensili, il minimo federale. Cifra misera, ma significativa dello spessore umano. Si fa questo ed altro per riabbracciare la propria terra adottiva, calcisticamente parlando. Memorabile quella finale play-off di Lega Pro persa contro il CarpiChevanton corre tutto sbilenco, lotta, calcia e si danna l’anima, nonostante un braccio rotto. Continua a giocare per la propria maglia e a riacciuffare la Serie B in extremis, trascinando con l’esempio, prima ancora che con la tecnica, i suoi compagni. Non ci riesce perché questo sport spesso e volentieri sa essere davvero crudele. Chevanton si mette le mani sugli occhi per fermare le lacrime. I tifosi piangono con lui. Di giocatori ne abbiamo ammirati tanti, ma come Ernesto Javier Chevanton, forse, ce ne sono pochissimi, se non nessuno. Avrebbe voluto chiudere la carriera in Salento, a casa sua, ma tant’è. Un grande uomo d’altri tempi, prima che calciatore. Magari lo rivedremo sgambettare su qualche campetto di periferia, lì dove si respira aria di calcio. Quello vero, puro e trasparente.