giovedì, Marzo 28, 2024
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Fintech revolution e banche in fermento

A fine dicembre 2015 (fonte ABI) in Italia erano operativi 30.091 sportelli bancari, 649 unità in meno rispetto all’ultimo mese del 2014 e con una diminuzione percentuale annua pari al 2,1%. Inoltre, rispetto al 2008, anno in cui si è registrato il numero massimo di sportelli bancari, il calo è stato dell’11,9%; 4048 sportelli chiusi in sette anni che hanno fatto perdere circa 40 mila posti di lavoro nel settore dell’intermediazione creditizia.

Eppure nello stesso periodo le operazioni bancarie eseguite dai clienti sono aumentate sensibilmente.

Diminuiscono gli sportelli, se ne riducono anche gli addetti e tuttavia il numero di operazioni bancarie aumenta, forse che improvvisamente i dipendenti degli istituti di credito abbiano enormemente migliorato la già soddisfacente efficienza? Se però così fosse anche l’affluenza in banca dovrebbe aver subito un incremento e, invece, le visite per sportello bancario, dal 2005 sono quasi dimezzate passando mediamente da 23 a 13 volte l’anno.

Questi fenomeni apparentemente contrastanti hanno una spiegazione inequivocabilmente semplice: la crescita esponenziale nell’utilizzo dei “canali di contatto banca-clienti a distanza”.   Servizi come l’home e il mobile banking hanno reso superfluo, per le operazioni più comuni, la presenza del cliente in filiale liberandolo dalle noiose file e dalle spiegazioni da dare a un operatore spesso distratto e spento dalla ripetitività dei propri adempimenti.

Mediamente, 2 volte al mese i correntisti, attraverso l’utilizzo di internet, effettuano pagamenti, spostano fondi, controllano i movimenti dei loro conti da casa o sul cellulare e, purtroppo per l’occupazione, riducono drasticamente il ricorso a un impiegato che assista  il cliente  nelle faccende di banca.

Il processo di digitalizzazione delle operazioni bancarie è ormai una realtà e la sua espansione sembra sia inarrestabile, tuttavia, il meglio dell’innovazione deve ancora arrivare (almeno in Italia) con la “rivoluzione fintech”.

Infatti, oltre alle ormai tradizionali e consolidate operazioni on line, le tecnologie digitali a supporto del credito prospettano innovativi, convenienti, veloci e affidabili servizi finanziari basati sull’utilizzo di internet.

A offrire questi servizi non sono più le tradizionali banche, ma rampanti startups che invadono il settore del credito e, pur senza mettersi in competizione con i consolidati gruppi finanziari, arrivano anche a provocarne la loro scomparsa per inutilità.

È il fenomeno della “disruptive innovation”, colpisce le imprese leader nel settore di mercato (incumbents) senza aggredirle o sfidarne la concorrenza, ma semplicemente offrendo ai clienti prodotti o servizi finora sconosciuti, impensati, magari semplici, immediati nell’utilizzo, quasi sempre a basso costo e che si propaghino a macchia d’olio tra i potenziali non quantificabili utilizzatori. Alcuni dei tanti esempi recenti ne sono la messaggistica Whatsapp nel settore delle telecomunicazioni o le app che consentono di utilizzare uno smartphone come navigatore portatile per la Garmin.

Nel settore finanziario, i piccoli capitali raccolti dal pubblico dei risparmiatori (crowdfunding) da Kickstarter, dalla sua nascita nel 2009, hanno superato i 2,5 miliardi di dollari e 109.218 su 309.118 progetti sono stati finanziati con successo.

Non di meno ha fatto Lendin Club, arrivando a prestare 4 miliardi di dollari l’anno via internet con il sistema di intermediazione “peer to peer”.

E l’elenco potrebbe continuare con Wealthfront, leader nei servizi di gestione finanziaria e investimento (robo-advisor), ZestFinance, che si occupa della valutazione del rischio del credito, CoinBase, specializzata nei sistemi di pagamenti con valuta digitale o Tesorio, che pratica innovative forme di smobilizzo crediti a condizioni di assoluta convenienza.

Sembrerebbe, pertanto, che le sopra elencate, e tante altre giovani startups emergenti o presumibili, potrebbero stravolgere il settore del credito e minare l’esistenza perfino di storiche e consolidate holding finanziare.

Secondo Umberto Bertelè, professore emerito al politecnico di Milano, “Anche se i cambiamenti in atto sono piuttosto profondi, i nuovi attori che stanno entrando sul mercato bancario-finanziario probabilmente non riusciranno ad avere un impatto realmente disruptive e a prendere il posto degli incumbent”. Il citato accademico sostiene, difatti, che i gruppi bancari tenderanno ad acquisire il controllo di un numero sempre maggiore di nuove startups specializzate in servizi finanziari, oppure creeranno al loro stesso interno le trasformazioni necessarie per offrire alla clientela autonomamente nuove operazioni e servizi innovativi; solo gli istituti bancari che non riterranno opportuno adeguarsi al radicale cambiamento, saranno destinati alla scomparsa.

Con ogni probabilità Bertelè non si sbaglia, le banche continueranno a esistere, ma con meno sportelli e ancor meno addetti da impiegare nel front office. Aumenterà, invece, la richiesta di personale con competenze digitali da utilizzare nel settore finanziario e forse, così come auspica Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, le banche “amplieranno la gamma di servizi, puntando, oltre che sulla tradizionale attività creditizia, anche sull’offerta di consulenza specializzata in materia assicurativa, pensionistica e fiscale”.