giovedì, Aprile 18, 2024
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Gli individui prima delle professioni: quanto pesano i successi e i fallimenti?

Il lavoro, la ricerca di un lavoro, il progetto di un lavoro, hanno un’influenza enorme sulla nostra vita e sull’immagine che ci costruiamo di noi stessi e degli altri. La prima domanda che facciamo alle persone è sempre la stessa: “che lavoro fai” o “che lavoro hai intenzione di fare in futuro”. In base alla risposta definiamo limiti e caratteristiche della personalità di un intero individuo. E’ assodato che un artista sia per forza un uomo impulsivo, con la testa fra le nuvole, incapace di impegnarsi e sprovvisto di senso pratico. Un matematico è invece sicuramente distaccato, eccessivamente razionale e senza nessuno slancio creativo. Purtroppo, non solo creiamo per le persone delle categorie impossibili da rispettare, ma giudichiamo loro, e anche noi stessi, in base ai loro successi lavorativi. Il valore di una persona non può e non deve derivare esclusivamente da una busta paga. I rapporti sociali spesso si trasformano in una gara a chi ha prospettive più solide, una macchina più grande, riconoscimenti più frequenti, come se la somma di queste cose potesse essere il grande sinonimo di felicità. Ci è stato insegnato che per ottenere qualcosa basta volerlo e impegnarsi. La dedizione, la passione, il sacrificio sono indiscutibilmente attitudini sacre e degne di essere messe alla prova. Purtroppo l’ardua verità, con cui stentiamo nel confrontarci, è che non sempre bastano. Semplicemente a volte le cose non possono andare come vorremo. Questa è una conclusione che spaventa, che rifiutiamo perché ci rende fallibili. Tuttavia, se non sono i nostri successi che ci definiscono, non lo fanno nemmeno i nostri fallimenti. Essere una persona di successo non riguarda la lista di traguardi professionali che spesso ci avvelena nel tentativo di portarla a termine. Avere successo nella vita è qualcosa di relativo, più spesso onesto quando si parla di generosità, saggezza, giustizia. Esiste un solo obiettivo da raggiungere: la consapevolezza che il mondo non ruota intorno a noi e alla nostra soddisfazione. Non è vincere o perdere che fa la differenza, ma quello che riesci a dare nel frattempo. Tentare di spingere sempre più lontano i propri limiti è sano, la sfida è produttiva e addirittura creativa, ma se carichiamo di un’importanza vitale un’esperienza che è soltanto parziale rischiamo di soffocare tra orizzonti troppo stretti. Esistono un milione di altre attività che ci rendono felici, e che a volte procedono su strade nettamente separate dalla professione che abbiamo scelto. Definirci, nel bene e nel male, in base ad un solo aspetto di una vita intera è pericoloso, e sintomo di un’insicurezza di fondo più che condivisa. Le persone sono tanto altro prima che avvocati, medici, scrittori. Dovremmo tutti rieducarci a porre le domande giuste: non più “che lavoro fai” ma “cosa ti rende felice”.

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