Si accende il dibattito tra gli esperti sull’evoluzione del coronavirus. I virologi sono divisi tra chi ritiene che il Covid-19 sia mutato in maniera lieve e chi pensa, invece, che si sia indebolito. In un articolo del Corriere della Sera pubblicato stamani sono raccolti i pareri dei maggiori esperti:
“Al momento le circa 30mila sequenze virali depositate nella banca dati internazionale dicono che il virus da dicembre a oggi ha subito pochissime e poco significative mutazioni. Tutti gli isolamenti che abbiamo effettuato confermano questo trend. Ad essere mutate sono le condizioni ambientali: il numero degli infetti è diminuito, l’affinamento delle strategie di sorveglianza consente di individuare sempre più precocemente i casi positivi. Per valutare se il virus è cambiato ci vogliono studi su grandi numeri, che al momento non mi sembra siano disponibili”. Le parole di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma.
C’è poi chi è stato in prima linea nella lotta al coronavirus e vede quotidianamente le differenze riscontrate tra vecchi e nuovi pazienti, come Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova:
“Ancora oggi ricoveriamo dei novantenni, ma se la cavano con forme lievi, non rischiano la vita. È una sensazione di pancia, ma basata su una quotidianità che a marzo e aprile è stata pesantissima e oggi è cambiata. Siamo in attesa di un dato scientifico che lo confermi. L’obiettivo di contenere l’epidemia è stato centrato, ma non dobbiamo abbassare la guardia”.
Per Giorgio Palù, past president delle Società italiana ed europea di virologia e professore emerito all’Università di Padova: “Per dimostrare che Sars-CoV-2 è effettivamente mutato è necessario sequenziare il suo genoma e clonarlo in un cromosoma artificiale batterico per poter verificare le cosiddette gain of function o loss of function del virus. Inoltre servirebbero conferme di scarsa replicazione in altri pazienti”.