venerdì, Marzo 29, 2024
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Il Nobel a Bob Dylan e alla musica

È Bob Dylan a vincere il Nobel per la letteratura, che per la prima volta viene assegnato ad un musicista. Il merito valso il Premio è quello, secondo l’Accademia di Stoccolma, di “aver creato nuove espressioni poetiche attraverso la grande tradizione della canzone americana”.

In effetti il cantautore statunitense, nato nel Minnesota nel 1941 ha rilasciato il suo primo album nel 1962 e ha dato voce a una serie di tematiche civili cardine della contro-cultura degli anni ’60, diventandone uno dei massimi rappresentanti ed emblemi: è il folk degli “hobo“, è la ballata popolare, che si sono trovati nella musica di Dylan per cantarci di Woodstock, degli hippie, della protesta contro la guerra del Vietnam. Sono pezzi storici come Blowing in the wind, Like a rolling stone, che in cinquant’anni non sono tramontati e che gli hanno consegnato il Premio, fra il boato della folla e le critiche recenti(la contestata apparizione al Coachella, la collaborazione con Victoria’s Secret).

Su Dylan e sul suo progressivo percorso verso il Nobel si può dire tanto, si può gioire o prendere le distanze, ma il discorso da fare in merito, un discorso più forte, non esplicito ma preannunciato da tempo, è un altro: la poesia non esiste più sulla carta, è morta, probabilmente anche sepolta, e si è evoluta in musica. Con estremo rammarico per tutti quelli scellerati che a gran voce hanno sempre affermato “la letteratura non serve più a niente“, quello che questo Nobel ci dice più sottilmente, per chi lo sa cogliere, è che noi la poesia la ascoltiamo ogni giorno: è stravolta, è di più, è più semplice, più difficile, ma è sine tempore e può essere bella come la più bella poesia di Leopardi e valere un Nobel, o avvilente come la peggiore poesia di Manzoni, a buon intenditor.

Se è vero che una letteratura sfiorisce quando non ci si può più immedesimare, quando perde la sua potenza comunicativa ed emotiva, sono gli antiquari e i nostalgici gli unici che ancora persistono nel leggere libri di poesie, fatalmente compiaciuti o dispiaciuti dall’essere gli ultimi sacerdoti del culto. La collettività (una
collettività mondiale) non soffre più con Paolo e Francesca, ma piange con The Times They Are A-Changin e insigne del titolo di letteratura, che può morire in alcune forme ma mai del tutto e mai nel ruolo, la musica. Tutto sommato forse è anche vero che non si fa altro che eternamente ritornare: la poesia greca, origine prima della cultura Occidentale, era in musica, fra Omero e la lirica.

Il Premio Nobel a Bob Dylan non è che la conferma accademica e definitiva di questa translatio avvenuta già da tempo, che non poteva che essere riconosciuta ex post dal mondo istituzionale che sempre deve vegliare sulla norma e che ora dice anche agli osservatori disattenti, ai disinteressati, che la norma è cambiata: è l’addio funereo al sonetto e il benvenuto accorato alla canzone.