mercoledì, Aprile 24, 2024
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In Iran l’8 marzo non arriverà mai

Non basterebbe un articolo, e forse neanche un libro, per elencare la gravità della condizione della donna nei paesi arabi, in particolare nello stato iraniano. Nel Paese comandato dalla ‘guida suprema’ Ali Khamenei, dove governa la legge islamica della Shari’a, le donne sono obbligate a indossare il velo. Le prime proteste contro questa imposizione risalgono proprio all’8 marzo del 1979, quando 100mila donne scesero in piazza a Tehran. Al governo si era insediato, poco tempo prima, l’ayatollah conservatore Ruhollah Khomeyni. Tra le punizioni inflitte a chi non osservava le regole c’erano le frustrate, ma anche il carcere.

Sempre in quegli anni l’età del consenso con cui le donne potevano sposarsi era fissata a nove anni (poi passata a 13) e la poligamia maschile era ovviamente concessa e praticata. Nel 1985 addirittura fu vietato alle donne di viaggiare sole senza l’autorizzazione del marito o di un familiare. Con il governo di Mohammad Khatami, dal ’97 al 2005, le cose non cambiarono, forse peggiorarono: scuole e ospedali separati per maschi e femmine. Negli ultimi anni i miglioramenti si contano come spiccioli. Basti pensare che in Iran esiste la Polizia morale, o religiosa, cioè una sottosquadra della Forza Disciplinare della Repubblica iraniana che ha il compito di individuare, per poi punire, tutti quei comportamenti considerati immorali secondo il Corano.

L’Iran è tornato alle cronache internazionali nel settembre dell’anno scorso quando la 22enne Masha Amini è morta, dopo diversi giorni di coma a causa di violente percosse, per non aver indossato il velo in modo corretto. Fortunatamente, soprattutto grazie a internet, l’evento ha avuto un’eco mondiale. Tanta la solidarietà, pochi però i provvedimenti concreti a livello diplomatico. Il vero coraggio lo hanno mostrato tutte quelle donne, e anche alcuni ragazzi, che a lungo (e ancora oggi) hanno manifestato nel Paese il proprio dissenso, attraverso cortei, espressioni artistiche e di pensiero, pagando con la repressione e spesso con la prigione e la morte.

Le ultime notizie da quello Stato disgraziato risalgono a pochi giorni fa (è già da qualche mese che in realtà si verificano questi casi) e riguardano il sospetto avvelenamento di centinaia di studentesse, ragazze che sognano un futuro diverso per loro e per la propria terra. Il viceministro alla Salute Younes Panahi sostiene la possibilità che ci sia stato un piano per far chiudere le scuole femminili. Adesso un po’ di numeri. Secondo il “Global Gender Gap Index” dell’anno scorso, l’Iran si assesta al 143 posto su 146 Stati per il divario di genere. Secondo dati ufficiali, riportati da Amnesty International, tra il 2020 e il 2021 sono stati registrati più di 31mila matrimoni di ragazze nella fascia d’età compresa tra 10 e 14 anni.

«Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai» scriveva Oriana Fallaci in quella famosa e struggente Lettera a un bambino mai nato. Certo è che non si sceglie dove si nasce e spesso non si ha modo, non si trovano le forze, di ipotizzare un cambiamento, e si resta succubi di un sistema perverso, assurdo, inconcepibile. In tutto questo, mentre il mondo ipocrita e contraddittorio è impegnato nello scambio di auguri, regali e mimose, ci sono luoghi, come l’Iran, in cui l’8 marzo non arriverà mai.

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