Da ben sei mesi ormai non si hanno più notizie di Silvia Romano, la volontaria della Onlus “Africa Miele” che lo scorso 20 novembre è stata sequestrata nel villaggio di Chakama, in Kenya, a 80 chilometri da Malindi.
Nulla di certo sulla sorte della ragazza, né su dove sia tenuta prigioniera: l’inchiesta continua infatti ad essere ostacolata dal silenzio delle autorità locali in risposta alle istanze dell’Italia intenzionata ad inviare investigatori nel Paese africano, così da poter collaborare attivamente alle indagini. Ad oggi, sono almeno otto le richieste italiane respinte da Nairobi.
Circostanze che presentano molte analogie con il caso di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto e alle cui indagini l’Italia non ha mai potuto partecipare direttamente a causa dell’opposizione del governo del Cairo.
La prima ipotesi era quella di un sequestro ad opera di una banda di comuni criminali, che però sembra essersi indebolita con il passare del tempo e dopo l’arresto di uno dei componenti, che non ha portato ad alcun progresso. Non è dato sapere se la giovane possa essere passata di mano, per esempio a una banda di criminali più organizzata, né in quale zona possa trovarsi al momento.
Lo strano atteggiamento delle autorità keniote risulta ancora più sospetto se paragonato all’attiva collaborazione che si è invece avuta in passato con le forze dell’ordine italiane in occasione di altri rapimenti di connazionali che si trovavano all’estero.
La stampa locale africana intanto insinua già da qualche mese, come riporta Il Messaggero, che Silvia possa essere stata uccisa in uno scontro a fuoco tra i suoi rapitori e un gruppo di islamisti somali di al-Shabaab a cui i rapitori avrebbero voluto venderla. Ipotesi che ad oggi non risulta verificata.
I media hanno anche ventilato l’ipotesi che la giovane potesse essere coinvolta a qualche titolo nel traffico illegale di avorio, e che proprio per tale motivo sarebbe stata in contatto con uno dei suoi rapitori tramite messaggi.