Il tentativo di colpo di stato, che ha sconvolto la Turchia la notte del 15 luglio, avrebbe potuto rappresentare la disfatta definitiva di Erdogan, e invece si è rivelato la sua fortuna. Il presidente turco si è arrogato il diritto di ristabilire l’ordine nel Paese a suo modo, e il suo modo non ha nulla a che fare con la democrazia che i cittadini, esattamente una settimana fa, sono scesi in strada a difendere.

Sebbene le prime reazioni al tentativo di colpo di stato abbiano denotato un supporto quasi globale nei confronti del governo democraticamente eletto, le manovre di “epurazione” attuate nei giorni successivi iniziano a provocare dissensi anche nella silenziosa Europa, quella che, pur di lavarsi le mani dall’emergenza migranti, aveva firmato con la Turchia l’Ue-Turkey Statement, accordo che, per il CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati), altro non sarebbe se non “un chiaro mercanteggiamento che si è concluso sulla testa e sulla pelle dei rifugiati”.

Contro Erdogan e i suoi metodi anti-democratici, si è recentemente schierata anche l’EUA (European University Association), organizzazione che rappresenta 47 università europee, e che ha voluto, con un comunicato, manifestare solidarietà nei confronti della comunità accademica turca, anch’essa presa di mira, come diversi altri ambiti dell’amministrazione pubblica, dalla violenta repressione messa in atto dal leader dell’AKP.

In seguito al golpe fallito, il ministero dell’istruzione turco ha sospeso 15.200 insegnanti, mentre sono state ordinate le dimissioni di 1.577 tra decani e rettori. Numeri che spaventano e che si sommano ad altre migliaia di interventi che hanno visto il licenziamento o l’arresto di giornalisti, magistrati, militari, e funzionari pubblici, tutti accusati di stare dalla parte di Fethullah Gülen, presunta mente dell’offensiva contro il governo.

Nel comunicato di EUA si legge che “più che mai la Turchia ha bisogno di libertà di parola, di dibattito pubblico e aperto, come sostenuto energicamente dalle sue università, ispirate a valori accademici riconosciuti globalmente, ai principi di libertà di ricerca e insegnamento, alla libera espressione e alla libertà di associazione. L’EUA invita tutti i governi, le università e gli studiosi europei a prendere posizione contro questi sviluppi e a sostenere la democrazia in Turchia, incluse l’autonomia istituzionale e la libertà accademica per studiosi e studenti”.

Pare evidente che lo scopo del presidente turco non sia più -ammesso che lo fosse originariamente- quello di porre sotto inchiesta e punire gli autori del sanguinoso tentativo di colpo di stato; vittime della repressione sono, piuttosto, tutti i possibili nemici della sua azione politica, volta a una riforma presidenziale che gli conceda più poteri e all’islamizzazione della Turchia. In quest’ottica, l’attacco al mondo universitario trova le sue radici proprio nei valori che l’EUA celebra, e che il politico combatte da molto prima del 15 luglio. La Turchia ha bisogno di università libere, ma ad Erdogan fanno troppo paura.