giovedì, Aprile 25, 2024
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Milano, la fuga dal carcere minorile e il nodo dell’età

Non si è trattata di una fuga organizzata nei minimi dettagli, da gente esperta, come nel film Escape Plan (Håfström, 2013) né tantomeno si è aperto un pertugio in una parete, con annesso corridoio, come accaduto ne Le ali della libertà (Darabont, 1994). Eppure, l’evasione compiuta questo Natale da sette ragazzi (cinque italiani, un marocchino e un ecuadoriano) dell’Istituto Penale Minorenni ‘Cesare Beccaria’ di Milano ha delle componenti romanzesche.

Sfruttando una zona nella quale c’era un cantiere con dei lavori in corso, i ladruncoli (in gabbia per reati minori, come furti e rapine) hanno rotto la recinzione e, forse con l’aiuto del classico lenzuolo, sono riusciti a sbucare su di un vecchio campetto da calcio, nel pieno del pomeriggio. Successivamente, tre di loro sono stati riacciuffati, mentre gli altri quattro sono ancora latitanti; non per molto però poiché le latitanze costano e bisogna essere persone importanti per avere una fitta rete di copertura a sostegno.

Questo evento – che ha subito causato le proteste di altri detenuti – ha messo in luce, oltre al dato riguardante la larga presenza delle cosiddette baby gang, anche il fatto che in queste carceri per i più piccoli, in realtà, vivano anche persone maggiorenni a causa del sovraffollamento delle prigioni degli adulti, problema che poi si ripercuote a catena anche sugli istituti minorili.

Il personale è carente, i lavori non proseguono, le celle sono sempre più piene, si vive in condizioni pessime; c’è chi preme sull’urgenza di delocalizzare determinati pazienti, affetti da problemi psichiatrici, verso comunità specializzate. In tutto questo, esiste poi una grande fetta della popolazione che, giustamente, esige che le leggi e i provvedimenti delle Forze dell’Ordine siano rispettati, talvolta anche inasprendo le pene, ed è costretta poi a leggere di persone che, a causa della mancanza effettiva di spazi, vengono rilasciate e magari tornano presto a delinquere.

«Un dispositivo totalitario», così il cappellano del Beccaria ha definito il sistema carcerario. Un luogo nel quale vite diverse, con esigenze, età e abitudini talvolta opposte, sono costrette a respirare ogni giorno la stessa aria. È un luogo stantio i cui odori non si dimenticano facilmente. C’è chi ci capita per errore, chi reitera, chi non ha scelta, chi lo mette in conto. Ad ogni modo, nonostante i passi avanti che si sono compiuti nel corso dei decenni, il nodo del sistema penitenziario resta ancora irrisolto.

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