giovedì, Marzo 28, 2024
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“My cousin Rachel”: il sentimento che nasconde il tormento

C’è il doloroso senso del non esistere e poi l’abbandono, in tutte le sue congetture. Roger Michell mette su pellicola il romanzo di Daphne du Maurier datato 1952.

Philip Ashley è un orfano che cresce assieme al caro cugino Ambrose, che poco dopo essersi ammalato si reca in Italia a Firenze da sua cugina Rachel per poi morire poco dopo averla sposata. Il giovane Philip che non ha ancora compiuto la maggiore età, si reca a Firenze per verificare la veridicità dei fatti, colto dalla rabbia e il dolore per la morte del proprio padrino accoglie Rachel con l’intenzione di ferirla.

C’è un sottile scherno nel racconto, una trama creata apposta per illudere il pubblico, così come il protagonista. Da subito Rachel ci appare una donna determinata, poco ferita, molto stucchevole. Philip a causa della sua giovane età viene ammaliato dalla donna, come fosse un burattino. Louise Kendall, che nella storia sembrerebbe avere un ruolo marginale, in realtà è la reincarnazione della lucidità, solo attraverso i suoi occhi riusciamo a vedere chiaramente.

Michell, ci mostra, attraverso la telecamera lo stordimento di Philip, la sua rabbia cieca e poi la sua malattia, lo fa chiaramente sfruttando i mezzi necessari, le luci, le ambientazioni scure. Per poi far riemergere la luce fioca del mattino, quasi a voler segnare una rinascita.

Il gioco è tutto lì, non sapremo mai se Rachel ha avvelenato o meno Ambrose e se lo ha fatto anche poi con Philip, la telecamera lascia spazio ad una libera interpretazione.