L’Europa tira un respiro di sollievo. Le elezioni politiche tenutesi in Olanda, mercoledì 15 Marzo, hanno portato alla vittoria il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) del premier uscente Mark Rutte. I liberali hanno ottenuto il 21,3% delle preferenze, corrispondenti a 33 seggi nella camera bassa, mentre il temuto partito islamofobo e antieuropeista di Geert Wilders ha dovuto accontentarsi del secondo posto, col 13,1% dei voti e 20 seggi (guadagnandone comunque 5 rispetto alla precedente tornata elettorale). Terzi a pari merito, con 19 seggi, i democristiani del CDA e i progressisti del D66. Notevole anche l’exploit dei verdi, che passano da 4 seggi a 14, e il catastrofico risultato dei laburisti, precipitati al 5,7%, che li fa passare da 29 a 9 seggi.
L’ondata di populismo che ha portato all’elezione di Trump negli Stati Uniti e alla Brexit in Gran Bretagna, sembra essersi arrestata in Olanda, dove Geert Wilders era dato per favorito fino a pochi giorni prima della tornata elettorale. Nessun pericolo Nexit, dunque. Anche se Mark Rutte, per guadagnare consensi ha dovuto utilizzare le medesime “armi” del suo rivale. E’ di Gennaio, infatti, una sua lettera aperta alla nazione, in cui, affrontando il tema degli immigrati, ha preso una forte posizione contro coloro che non si sono integrati nella società olandese, invitandoli a “comportarsi normalmente o ad andare via”. Mentre più recenti, e forse decisive, sono state le sue forti posizioni contro i ministri turchi, ai quali è stato impedito fare campagna referendaria tra gli immigrati in Olanda, per un contestato referendum costituzionale, aprendo così una seria crisi diplomatica col controverso governo di Ankara.
Quando ormai la vittoria è stata chiara, Mark Rutte ha dichiarato: “dopo la Brexit e le elezioni americane, l’Olanda ha detto no al populismo”, ribadendo poi il proprio impegno “per mantenere il Paese stabile, sicuro e caratterizzato dal benessere” e ricevendo le congratulazioni dei vari leader europei da Angela Merkel a François Hollande, da Paolo Gentiloni al presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker.
