venerdì, Aprile 19, 2024
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Revenge porn, quando la vittima diventa “l’imputato”

La stigmatizzazione sociale è quel fenomeno in base al quale si attribuisce una connotazione negativa ad un membro – talvolta ad un intero gruppo – appartenente ad una comunità. Connotazione negativa che determina il “naturale” declassamamento del soggetto – o dei soggetti –  ad un livello inferiore della scala sociale. È ciò che in pratica è accaduto ad una maestra di Torino che da vittima del reato noto come “Revenge porn”, si è vista trasformata in imputato, subendo prima l’allontanamento sociale dovuto alle “chiacchiere di quartiere”, e poi vedendosi costretta dalla dirigente scolastica dell’istituto presso il quale esercitava la propria professione, a rassegnare le dimissioni in quanto non più in grado di fornire un buon modello educativo ai suoi amati studenti.

Breve ricostruzione storica – Ripercorriamo brevemente i fatti accaduti nel 2018, quando una maestra di Torino di 22 anni inizia una frequentazione con un calciatore dilettante, durante la quale scambia con lui foto e un video che la ritraggono in momenti intimi. Succede, poi, che la relazione finisce e che l’ex partner condivida “goliardicamente” le foto ed il video – senza il consenso della stessa – con gli amici di spogliatoio. Uno di questi, a sua volta, mostra le foto ed il video alla moglie, madre di uno dei suoi alunni. È proprio lei a diffondere il materiale tra le altre madri dei bambini che frequentano la classe d’asilo in cui lavora la maestra di Torino, che prima è “costretta” ad approfittare di un periodo di ferie nella speranza di frenare la gogna sociale di cui è stata oggetto; poi al suo ritorno, si sente “consigliare” dalla dirigente scolastica, informata dalla stessa maestra del reato di cui è stata vittima, di dimettersi (stando alle dichiarazioni rese in procura dalla vittima), in quanto non più di buon esempio per i suoi bambini. Sono questi i fatti che hanno poi spinto la maestra a sporgere denuncia contro 5 persone che devono rispondere di diffamazione, violenza privata e divulgazione di materiale privato.

Revenge porn: che cos’è? – Letteralmente il Revenge porn significa “vendetta pornografica”; di fatto è quella pratica messa in atto da un individuo che “per vendicarsi” diffonde, senza consenso, materiale a contenuto sessuale appartenente ad altro soggetto. Nel nostro ordinamento questa pratica è connotata come reato ai sensi dell’art. 612 ter c.p.. Nello specifico, il suddetto articolo punisce sia chiunque diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a restare privati, senza il consenso delle persone rappresentate; sia chi, avendo ricevuto le immagini e i video, li diffonde a sua volta.  Le pene previste sono: la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

Educazione sessuale, tra tabù e necessità – Dalla lettura dell’art. 612 ter c.p. sembrerebbe chiaro che il colpevole del reato di Revenge porn sarebbe colui che diffonde materiale a contenuto sessuale senza il consenso dei soggetti coivolti. Nella pratica, tuttavia, ad essere stigmatizzata socialmente quale “colpevole” è stata, tuttavia, la maestra d’asilo di Torino. Da vittima, che si è vista violare non solo il diritto alla privacy ma anche il diritto all’onore (inteso come reputazione) e in particolare all’onore sessuale; è stata trasformata in colpevole tanto da non essere più considerata quale modello sociale per i suoi alunni, che, ovviamente, ignari della vicenda, si sono visti improvvisamente mancare una figura di riferimento. Sarebbe il caso di chiedersi se non sia necessario introdurre come ulteriore insegnamento l’Educazione sessuale, invece di allontanare insegnanti dal proprio ruolo istituzionale.

 

 

 

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