giovedì, Marzo 28, 2024
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Siria: la fotografia di Aleppo prima dell’assedio finale

Cinque anni fa Aleppo era una città florida, un’oasi nel deserto mediorientale popolata da più di due milioni di persone e culla di diverse etnie: assiri, curdi, arabi, armeni e turchi che vivevano in pace tra di loro. Il turismo era il settore che portava più ricchezza e i turisti venivano da ogni parte del mondo per ammirare le ricchezze artistiche del Paese patrimonio dell’UNESCO, come l’antica Moschea degli Omayyadi di Aleppo (di cui oggi rimane ben poco).

La Moschea degli Omayyadi dopo la distruzione, foto di heritage of peace
La Moschea degli Omayyadi dopo la distruzione, foto di heritage of peace

Oggi, dopo 5 anni di una guerra per procura che sembra non avere fine, la cartolina di Aleppo ricorda più lo scenario post-bellico dell’Europa piegata sotto i bombardamenti nazisti della Seconda guerra mondiale o della San Martino del Carso tristemente descritta da Ungaretti “Di queste caseNon è rimasto Che qualcheBrandello di muro“, scriveva il poeta durante la Prima guerra mondiale.

Foto di: vivicentro
Foto di: vivicentro

L’assedio ad Aleppo è cominciato nel 2012 quando, nonostante i primi focolai tra lealisti e ribelli, si poteva ancora salire alla Qalat, la parte più antica della città, rasa al suolo l’anno dopo, nel 2013. A un anno dall’assedio la “florida città” era già in ginocchio: distrutti l’antico mercato coperto e  il minareto della Moschea degli Omayyadi della millenaria storia di Aleppo e delle meraviglie artistiche arabe restavano solo fotografie e ricordi. Intanto milioni di persone restavano intrappolate nelle loro abitazioni in balìa delle bombe e di forze armate sempre meno regolate: a fare fuoco erano le forze armate del regime, le milizie islamiche e le forze dell’ELS, l’Esercito Siriano di Liberazione.

All’alba di questo nuovo anno la situazione in Siria, e in particolar modo ad Aleppo, rappresenta il fallimento di ogni istituzione umanitaria, lo scenario post-apocalittico per eccellenza dove figurano città completamente rase al suolo che piangono le morti di milioni di civili innocenti. Aleppo è divisa in due: la zona orientale, dove i ribelli comandano ancora un ridottissimo frammento di territorio e la zona occidentale nelle mani del regime siriano. Dal 2015, inoltre, sono cominciati i bombardamenti aerei della zona orientale grazie anche alla collaborazione russa: la strategia militare usata è tra le più crudeli, il cosiddetto “starve or submit “, rendere la vita intollerabile e la morte quasi una certezza o meglio, “lasciare che se ne vadano o uccidere chiunque resti“, come ha descritto il New York Times.

La riconquista di Aleppo potrebbe essere un duro colpo inferto ai ribelli che combattono il regime di Damasco e una svolta nel conflitto siriano: i ribelli, tuttavia, controllano ancora l’area strategica di Idlib e hanno basi strategiche nel Sud del Paese.

Situazione diversa è quella dei curdi che occupano il territorio a Nord del Paese e ai confini della Turchia che, ormai, hanno costruito una sorta di autogoverno: il loro scopo è quello di rendere uno Stato autonomo la regione del Kurdistan, nonostante ciò venga duramente contrastato dall’esercito di Erdogan. A Est, invece, regna ancora l’autoproclamatosi Stato Islamico con le solide basi di Raqqa e Palmira.

Mentre il Papa chiede a Beshar Assad, presidente siriano, di garantire la minima sicurezza ai civili siriani, USA e Russia non riescono a trovare un accordo. Oggi, mentre i militari di Assad conquistano sempre più territorio ad Aleppo, i diplomatici russi hanno tenuto un colloquio con i rappresentanti della Turchia riguardo l’urgente evacuazione dei civili dall’area di Aleppo mentre gli statunitensi tentano lo spiraglio di un negoziato con Putin e le Nazioni Unite cercano di negoziare.

La Siria è morta e con essa la sua millenaria storia a causa di una guerra cominciata come rivolta pacifica di cittadini e poi contaminata dal germoglio della violenza. Aleppo è morta e con essa i suoi palazzi, le sue scuole, le sue piazze e gli ospedali di cui non resta altro che sabbia. La civiltà in Siria è morta e con essa milioni di vittime di innocenti trucidati, lasciando un’enorme ferita nella comunità internazionale.