venerdì, Aprile 19, 2024
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Torino, giovane studentessa viene condannata per la sua tesi sui No Tav

La sua colpa è quella di aver guardato troppo da vicino un movimento che in tanti vogliono distruggere. Quello studio così approfondito sulla dinamiche dei No Tav, presentato poi davanti alla commissione di laurea, l’è costato fin troppo caro. E’ stata condannata a due mesi di reclusione con rito abbreviato Roberta Chiroli, 29enne ex studentessa all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Quel plurale maiestatis, secondo il tribunale di Torino, l’ha messa con le spalle al muro.

Insieme a lei è stata indagata anche un’altra studentessa, ricercatrice all’Università di Calabria. L’accusa è la stessa: concorso morale alle azioni di disturbo del movimento. Morale, certo, perché le due ragazze sono raffigurate in tutti i video e le foto mentre se ne stanno in disparte. Ad osservare ciò che per loro era oggetto di studio. Il pm Antonio Rinaudo contesta a entrambe di aver preso parte a una manifestazione in Valsusa nell’estate del 2013, dove erano stato occupati alcuni locali ad Itinera. Le due studentesse sono  rinviate a giudizio insieme ad altre 43 persone. Rinaudo ha chiesto 9 mesi per entrambe. Ma il giudizio del giudice è diverso. Chiroli ottiene sei mesi di rito abbreviato. L’altra ragazza, invece, non è assolta per non aver commesso il fatto. A fare al differenza è un piccolo dettaglio che per la corte è diventato fondamentale: Chiroli nella sua tesi utilizza più volte il “noi”, esprimendo così un forte coinvolgimento. Un plurale a cui l’altra ricercatrice ha preferito la terza persona, rendendosi, per il giudice, più estranea ai fatti.

«L’unica spiegazione possibile, in attesa di leggere le motivazioni», riflette l’avvocato Valentina Colletta, che difendeva entrambe, «è la cifra stilistica usata nei due lavori accademici: una si è espressa in terza persona, l’altra ha usato la prima plurale». Il  Rinaudo, invece, la pensa diversamente: quel «”noi” è partecipativo».  A conti fatti alle ragazze non rimane altro che lo sconforto. «Studiavamo sul campo di un movimento sociale, non abbiamo fatto nulla di male», ha dichiarato la ricercatrice assolta.

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