Ho letto questa frase diverse volte, dopo la visione di 13 Reasons Why, “Siamo tutti Hannah” usato come scudo per le molestie e gli ingiuri dell’adolescenza.
13 Reasons Why è uno schiaffo in piena faccia, 13 episodi che racchiudono interi anni di bullismo. Le 13 ragioni che portano Hannah Baker a cessare la propria esistenza, sono così profondamente ingiuste, che alla fine della storia vorremmo non averla mai iniziata.
Hannah è un diciassettenne come tante altre, anzi meglio di altre. Una di quelle ragazze che vive la propria vita in base alle prime esperienze. Consapevole di essere arrivata al punto di non ritorno, inizia a registrare 13 cassette, ogni storia per lato, ogni colpevole protagonista di una storia, ogni storia sempre più vicina alla fine.
Ciò che ci scandalizza più di altri film o serie tv sul bullismo è l’assoluta assenza di redenzione. 13 persone sono il motivo per cui Hannah ha deciso di suicidarsi, consapevole di lasciare loro un macigno così grande da diventare insopportabile. Ancora una volta, però quelle stesse persone non si sentono protagoniste di una vicenda, ma negano. Lo fanno, infangando (ancora una volta) il nome di quella ragazza che “cercava solo attenzioni”, che forse “era una bugiarda”, una “troia”, che ha voluto fare quello che ha fatto.
Percepiamo Hannah, sulla nostra stessa pelle. La sua violenza, la sua sofferenza, la sua disperazione, il vuoto che avverte si formano come dei tasselli da ricomporre cassetta dopo cassetta. Clay è solo il mandante, la chiave da usare per aprire una porta nascosta, la voce della coscienza, il “se” su cui tutti ci interroghiamo.
La consapevolezza che assumiamo alla fine è che Hannah potrebbe essere dietro di noi, potrebbe essere nostro figlio o nostra sorella. Quella ragazza che alle 3 in punto compra sempre del cioccolato, il ragazzo che disegna all’ultimo banco della classe, quella persona che si finge amichevole con tutti. Non giriamo le spalle!