The Handmaid’s Tale: politica realistica di un mondo astratto

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fonte foto screen da youtube

La storia nasce dalla penna della femminista Margaret Atwood che denuncia in modo cruento e veritiero una realtà fantasma. The Handmaid’s Tale, serie dell’anno agli Emmy, esaspera il maschilismo nella sua piena concretezza.

Un racconto che si ripete

Immaginate di vivere in una città in cui l’unica ragione della vostra esistenza è la vostra fertilità. Immaginate poi di non poter scappare e di dover sottostare a regole disumane in un mondo del tutto diverso da quello che poco tempo prima vi ospitava. Non siete donne, siete solo l’oggetto necessario a generare. Delle incubatrici!

The Handmaid’s Tale ci mostra la vita dell’Ancella Offrid, June è il suo vero nome, mamma, moglie e donna in carriera. A Gilead (Stati Uniti d’America) le Ancelle perdono la propria identità, nulla della vecchia vita deve essere neanche solo pensato.

Il loro compito è quello di partorire bambini per mano delle ricche famiglie del luogo. A Gilead le donne sono schiave di un sistema che le tiene prigioniere. Hanno rapporti solo perché costrette, prigioniere di un nuova struttura di cui non conoscono nulla.

Il Femminismo in Handmaid’s Tale

Ciò che rende questa serie così veritiera è il senso di ingiustizia che percepiamo. Vorremmo urlare, rompere i vetri di quella città assuefatta, scavare nelle menti degli uomini di potere e arrestarne gli istinti. The Handmaid’s Tale non è altro che la proiezione di una realtà fantastica che, ancora oggi, trova spazio nelle menti degli uomini.

Bruce Miller ci mostra l’interfaccia di un mondo che potrebbe essere (così), ma che per fortuna non è!