domenica, Aprile 28, 2024
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Criterio di continenza: L’espressione “Idiota” su Facebook non integra il reato di diffamazione a mezzo stampa

Così statuito dalla corte di Cassazione nella sentenza n. 15089

Il caso riguarda la contestazione del reato di diffamazione per aver pubblicato l’articolo intitolato “Spari in pieno giorno in corso Lecce“, inserito sulla pagina Facebook denominata “Diario di Torino dal contenuto estremamente critico nei confronti della condotta tenuta da un agente della Polizia di Stato apostrofato con l’epiteto “Idiota”.  Nello specifico un agente di Polizia aveva adoperato la pistola di ordinanza per esplodere alcuni colpi in aria al fine di far desistere dalla fuga alcune persone individuate quali autori di un furto.

La pronuncia in questione si è uniformata all’esito assolutorio a cui era giunto già il G.I.P. di Torino il quale si era soffermato sulle condizioni idonee a giustificare, ai sensi dell’art. 51 c.p., esternazioni rientranti nel legittimo esercizio del diritto di critica.

Del resto, come noto a tutti, la sussistenza del diritto di critica non può prescindere dal rispetto di tre requisiti:

  1. a) la verità di quanto riferito;
  2. b) l’interesse sociale;
  3. c) la continenza espressiva.

Ed è proprio su quest’ultimo punto che in relazione alla vicenda in questione la cassazione esclude che possa violare il principio di continenza l’uso “di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio negativo di cui deve tenersi conto/anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene impiegato“.

L’interpretazione suggerita dalla Corte espande senza dubbio il legittimo utilizzo del diritto di critica e parallelamente restringe il contenuto degli obblighi di controllo e di rimozione in capo all’amministratore di ogni contenuto potenzialmente offensivo pubblicato dagli utenti di cui il gestore sia venuto a conoscenza (anche in via potenziale).

Infatti, come noto, alcuni recenti approdi della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. V, 14 luglio 2016, n. 54946) sembrano riconoscere la sussistenza di un’ipotesi di responsabilità penale in capo al gestore/amministratore (di un blog o di una pagina Facebook) per il consapevole mantenimento di contenuti diffamatori su siti, blog, gruppi o pagine social, sull’assunto che la mancata rimozione degli stessi, finisca per consentire che le espressioni offensive continuino ad esercitare efficacia diffamatoria.

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