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Federico Aldrovandi: il giovane dietro il caso di cronaca

Il caso di Federico Aldrovandi fa ancora discutere a distanza di 18 anni, gli stessi anni che aveva quando la sua vita è stata spezzata

Ferrara, 25 settembre 2005.

Tra le 05:45 e le 06:04, un ragazzo di 18 anni moriva in condizioni tragiche a seguito di un controllo della Polizia sull’asfalto di via Ippodromo. Quel ragazzo era Federico Aldrovandi. Oggi, 25 settembre 2023, sono trascorsi esattamente 18 anni da quel terribile epilogo, 18 come gli anni che aveva quando la sua vita è stata spezzata ingiustamente.

Il caso

Federico Aldrovandi era un giovane italiano di 18 anni morto in circostanze tragiche a Ferrara il 25 settembre 2005 durante un controllo della Polizia. A nulla sono servite le urla del giovane, il quale implorava i suoi aguzzini di lasciarlo in pace e di smetterla. La sua storia ha suscitato un notevole interesse mediatico a causa delle circostanze della sua morte e delle accuse nei confronti degli abusi di potere da parte delle Forze dell’ordine.

Cosa accadde quel giorno?

Nella sera del 25 settembre 2005, Federico chiese ai suoi compagni di lasciarlo in una strada nelle vicinanze della sua abitazione, dopo una serata trascorsa al locale Link di Bologna. Due residenti della zona segnalarono la presenza di un individuo agitato che gridava per strada. La prima chiamata di emergenza effettuata da Cristina Chiarelli al numero 112 è avvenuta alle 5:45 del mattino, in cui la testimone ha segnalato che “c’è un individuo che sta manifestando comportamenti aggressivi, urlando in modo incontrollato e colpendo oggetti”. Quando ha contattato la Questura per richiedere assistenza, ha descritto il giovane come uno che “colpisce la testa contro i pali”. In risposta a questa chiamata, è stata inviata una pattuglia denominata “Alfa 3”, composta da Enzo Pontani e Luca Pollastri, verso la zona di via Ippodromo a Ferrara.

La seconda chiamata al numero 113 è stata fatta da Cristian Fogli, un residente del quartiere, che ha segnalato “un giovane visibilmente ubriaco che continua a gridare”. La volante è stata immediatamente allertata e si è diretta rapidamente verso l’indirizzo segnalato. Pontani e Pollastri hanno descritto Aldrovandi come una persona “agitata e violenta, che li ha attaccati con tecniche di karate senza motivo apparente”, motivo per cui hanno richiesto rinforzi. In breve tempo, la volante “Alfa 2”, composta da Paolo Forlani e Monica Segatto, è arrivata in supporto.

Il resto, come si dice, è storia.

I 18 anni di Federico

Spesso quando si affrontano casi di cronaca nera, ci si rivolge alle vittime in quanto tali dimenticando che, fino a quel tragico epilogo, esse avevano una vita, una famiglia, amici, sogni e aspettative. In questo articolo, ci piacerebbe ripercorrere i 18 anni di Federico, la spensieratezza e la giovinezza di un ragazzo che aveva davvero tutta la vita davanti.

Nato il 17 luglio 1987, oggi Federico avrebbe 36 anni se la sua vita non fosse tragicamente finita quella mattina del 25 settembre 2005 alle prime luci dell’alba, mentre intorno c’era il silenzio.

Chi era Federico? Che scuola frequentava? Che sport praticava? Cosa voleva fare da grande? Domande che ad oggi ci sembrano insensate, ma che in realtà restituiscono dignità ad un giovane che si è trovato al posto sbagliato e nel momento sbagliato.

Federico era un giovane con tante passioni, amici, idee e sogni. Faceva sport, lavorava part-time per racimolare qualche soldo e non pesare sulla sua famiglia. Federico andava a scuola ed era curioso e appassionato della vita. Racconta il padre, Lino Aldrovandi, in un podcast intitolato Rumore. Il Caso Aldrovandi di Francesca Zanni che suo figlio è sempre stato un bambino felice e non gli ha mai creato problemi.

Federico era nato prematuro, a 6 mesi, e per i medici non c’era assolutamente speranza. Il bimbo, secondo il parere degli esperti, non ce l’avrebbe fatta. E invece, Federico è stato più forte, lui voleva vivere e ce l’ha fatta; è cresciuto sempre più fino a lasciare quelle pareti lugubri dell’ospedale.

A 4 anni Federico era un bambino felice, molto attaccato alla sua famiglia. Racconta il padre che non aveva nessuna voglia di andare all’asilo, per questo si attaccava con tutta la forza che poteva alle gambe dei suoi genitori. “Papà non lasciarmi mai” implorava il piccolo Aldro al suo papà. Così è stato, suo padre non l’ha mai abbandonato, fino alla fine.

Pian piano il giovane è cresciuto ed è diventato un adolescente. Si sa quello che si dice sull’adolescenza, che è il periodo della ribellione, si sperimenta, si cambia e tutti quei luoghi comuni che forse celano una piccola verità. I genitori di Federico hanno sempre cercato di insegnargli il rispetto per la vita. A 16 anni, infatti, il ragazzo fermò il padre dall’uccidere un ragno con la ciabatta gridando: “Lascialo vivere”.

È davvero insolito e inquietante pensare che soli due anni dopo Federico Aldrovandi avrebbe subito la stessa sorte con una sola ed unica differenza: non c’era un altro Federico a difenderlo, ma qualcuno che forse ha pensato che la vita di un ragazzo di 18 anni non valesse a niente.

Lino Aldrovandi racconta che suo figlio era molto curioso, gli piaceva studiare ma per una serie di sfortunati eventi cambiò scuola alle superiori. Quell’evento gli scatenò qualcosa dentro perché Federico iniziò ad impegnarsi davvero nello studio tanto da riportare a casa sempre buoni voti. Non dava pensieri alla famiglia, era un ragazzo normale della sua età. Federico faceva sport, nello specifico karate, e amava la filosofia dietro le arti marziali. Per lui lo sport era disciplina, non violenza. Persino il suo datore di lavoro lo ricordava come un ragazzo semplice, che faceva quello che doveva fare.

“Ricordo il suo ultimo compleanno. La mamma e Stefano erano andati in vacanza e io volevo stare con Federico. Feci delle frittelle e una torta con la panna montata, un vero disastro, ma lui apprezzò molto. Non mi criticò per aver fatto un dolce terribile, mi ringraziò tantissimo e mi abbracciò. È il mio ultimo ricordo bello, l’ultimo saluto” spiega il padre di Federico al podcast di Francesca Zanni.

Anche i suoi amici lo ricordano con affetto, ragazzi che oggi sono uomini ma che non hanno dimenticato quanto accaduto quella tragica mattina. Federico era un ragazzo simpatico, curioso, “un bravo ragazzo”. Ascoltava molta musica, per questo andava spesso in gruppo ai concerti. Era sempre invogliato a scoprire cose nuove, fare esperienze che gli avrebbero arricchito la vita.

Federico ai tempi stava lavorando ad un progetto importante sulla droga per sensibilizzare e affrontare l’argomento. La curiosità l’aveva portato a fare qualche esperienza ma non ne era dipendente. Si trattava di sperimentazione, di pura curiosità nei confronti dell’ignoto. Per lui la droga non rappresentava un problema, voleva solo vedere cosa fosse, provare, non di certo farne un uso regolare. Si è detto molto sulla droga, come se fosse una parte fondamentale della sua vita, tutto per distogliere l’attenzione da chi la vita gliel’aveva spezzata per davvero. Infatti, all’inizio delle indagini, gli amici di Federico (e Federico stesso) furono accusati di essere dei “drogati”, dei “tossici”. Era necessario dimostrare la morte per overdose per poter scrollarsi di dosso quella spada di Damocle che ormai giaceva dritta sulle teste dei quattro agenti colpevoli.

L’esame tossicologico, tuttavia, ha smentito la tesi dell’overdose perché tutto quello che è stato detto da chi conosceva davvero Federico Aldrovandi è la pura e semplice verità. Con il caso Aldrovandi si infranse il tabù dell’invincibilità e infallibilità delle Forze dell’ordine. Qualcuno le chiamerebbe “mele marce” e infatti anni dopo ci sono stati diversi Federico: Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Riccardo Rasman, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Aldo Bianzino, Riccardo Magherini, Davide Bifolco, solo per citarne alcuni.

“Anche tu avresti voluto invecchiare, ma qualcuno colpevolmente, decise che era giunto il momento di interrompere il tuo e i nostri sogni. Tu in un certo senso, sarai giovane per sempre” scrive papà Lino per il suo compleanno.

Per Federico Aldrovandi e per tutti coloro che hanno sofferto ingiustamente, continueremo a chiedere responsabilità, trasparenza e cambiamenti significativi nel nostro sistema. Non dobbiamo mai dimenticare che quello steso in via Ippodromo era un essere umano con le sue fragilità e ancora tanto da dare. Un potenziale inespresso.

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Valentina Sammarone
Valentina Sammarone
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