Luciano Giugliano, noto attore di teatro e grande protagonista della quarta serie di Gomorra nel ruolo di Mickey Levante, ha rilasciato una lunga intervista ai nostri microfoni nella quale ha descritto in maniera accurata segreti e caratteristiche del suo personaggio. Ecco cosa ci ha rivelato:
Sei nel mondo dello spettacolo da circa 15 anni, nasci come attore di teatro, a quanti anni hai capito che quello sarebbe stato il tuo lavoro? “Credo di averlo sempre saputo. Non c’è stato un momento preciso in cui l’ho capito. Mi sono semplicemente impegnato, giorno dopo giorno, in ciò che amavo, per migliorare, per superare i miei limiti, sempre di più”.
Dopo qualche apparizione in La Squadra, Distretto di Polizia, Un posto al sole, Squadra antimafia, finalmente Gomorra ti ha concesso la possibilità di sbarcare sul grande schermo. Com’è nata questa opportunità? “Dopo anni di provini. Li ho fatti per la seconda stagione di Gomorra, ma senza successo. Poi, ai provini per la terza, mi proposero un piccolo ruolo di poche pose, ma rifiutai. Ho sempre pensato che Gomorra potesse essere il mio trampolino di lancio, ma non con un piccolo ruolo. Ho aspettato il momento giusto e la mia pazienza, per fortuna, è stata ripagata con questo fantastico personaggio che è Mickey Levante”.
Descrivici un po’ il personaggio di Mickey Levante, in cosa differisce dagli altri? “Mickey Levante è il figlio secondogenito di una famiglia di camorristi. Una camorra diversa da quella alla quale ci ha abituati Gomorra nelle scorse stagioni: rurale, antica, patriarcale, quasi dimessa. Lui ha studiato, a differenza dei fratelli, a Bologna, dove ha vissuto per vari anni. Sicuramente questa “formazione” ha consentito a Mickey di discostarsi da quella visione patriarcale così radicata nel resto della sua famiglia, tanto da arrivare addirittura ad innamorarsi di una donna boss. L’abbigliamento di Mickey è ricercato, i suoi modi gentili, considerando il contesto. E poi è un romantico. Sotto quello sguardo ambiguo da doppiogiochista, Mickey nasconde, in realtà, un sogno: una vita tranquilla con Patrizia e Bianca lontani da tutto quello schifo”.
E’ ispirato a Mickey Corleone de Il Padrino? “Non credo, ma bisognerebbe chiedere agli autori per saperlo con certezza. Quello che so è che la famiglia Levante prende spunto dal Clan dei Nuvoletta e, per certi aspetti, da quello Polverino. Mickey Corleone, invece, mi è stato suggerito come spunto da Marco D’amore, per i parallelismi che questo ha con il mio Mickey: entrambi figli prediletti, che prima studiano per allontanarsi dall’ambiente d’origine, ma che poi finiscono per esserne risucchiati. Un onore per me avere un così alto punto di riferimento”.
Con Gomorra si mette in risalto il lato negativo di Napoli, credi sia di cattivo esempio per le nuove generazioni? “Gomorra si limita a fotografare un fenomeno, quello della criminalità organizzata, che non è figlio soltanto di Napoli, ma ha radici in tutto il mondo. Altrimenti dovremmo dire che Il mercante di Venezia metteva in luce il fenomeno del razzismo a Venezia. Gomorra è semplicemente un prodotto cinematografico, che per altro ha esportato l’eccellenza campana in tutto il mondo e va valutato per questo. Parliamo di una serie vista in 190 paesi, tradotta in tutte le lingue del mondo tranne 7. Parliamo del cinema italiano che finalmente ritorna a travalicare i confini dopo i troppo lontani fasti del passato. Quanto all’esempio per le nuove generazioni conosco personalmente tantissimi ragazzi campani che, proprio dopo essersi appassionati a Gomorra, ora sognano di fare gli attori. Non credo basti guardare una serie o un film in tv per decidere di voler delinquere. Credo sia una questione molto meno semplice. Credo che le cause siano da ricercare nel tessuto socio-culturale in cui questi bambini vengono cresciuti, più che in ciò che guardano”.
Quinta e sesta puntata hanno visto in regia Marco D’Amore, quanto è stata importante la sua presenza sul set e quali consigli ti ha dato? “Per me è stata fondamentale. Mi ha aiutato molto con i suoi consigli, la sua attenzione anche ai minimi particolari e l’enorme passione che mette in tutto ciò che fa. Quanto ai consigli che mi ha dato, li custodisco gelosamente. Sarebbe come chiedere il trucco ad un prestigiatore”.
Mickey si trova tra due fuochi, la famiglia e l’amore per Patrizia, ciò ha reso più complessa l’interpretazione del personaggio? “Sono abituato, nell’interpretazione di un personaggio, a ricercare sempre le diverse forze motrici che lo alimentano. Questo è ciò che dà realismo ai personaggi. Nessuno nella vita reale è mosso da una sola istanza, mai. Si è sempre divisi, in qualche modo. Quindi, per quanto sia complesso dover interpretare un personaggio diviso tra due amori differenti, questa divisione, in realtà, aiuta l’attore seppur alzando il coefficiente di difficoltà”.
Qual è stata la scena che più hai preferito girare? “Le scene che in assoluto mi hanno fatto provare le emozioni più forti sono state quella dell’uccisione di Nicola, in puntata sei, e l’addio alla mia famiglia, in puntata 12. Ricordo che in entrambe le scene, alla fine di ogni ciak, avevo le lacrime agli occhi”.
Che consigli vuoi dare a chi vuole intraprendere la carriera di attore? “A chi vuole fare l’attore suggerisco di fare teatro, tanto. Di lasciarsi giudicare dagli altri nel bene e nel male, di dare più ascolto alle critiche che ai complimenti, se fatte da persone competenti, ma soprattutto di puntare alla crescita professionale più alla fama. La notorietà può arrivare o meno, ma non è determinante”.
Progetti per il futuro? “Progetti futuri ci sono, ma, da buon campano, non ne parlo ancora per scaramanzia”.