domenica, Aprile 28, 2024
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Sanremo sì, ma anche no

Un po’ per la curiosità, un po’ per criticare gli outfit, un po’ per aspettare le gaffe o gli strafalcioni e discuterne successivamente, un po’ perché fa tendenza, alla fine tutti si ritrovano ogni anno a guardare Sanremo, anche solo una mezz’oretta di passaggio. Il pollice è quasi forzato dal raggiungere il tasto 1 del telecomando e il cervello cede, stremato alla fine della giornata. E non importa andare a letto di notte, è così irrilevante contribuire a instillare l’abitudine ad avere una routine sempre più scoordinata e irregolare…

Grazie ai social e alla frenesia che si consuma sul web, Sanremo lo guardano proprio tutti, anche quegli adolescenti, rabbuiati e attanagliati dai grandi problemi esistenziali, che la sera marciscono nelle proprie camerette e che ignorano, tutto il resto dell’anno, l’esistenza della televisione, intesa non come oggetto dove proiettare Netflix, Prime Video o Disney+, ma come un insieme di canali, di palinsesti e di trasmissioni, come qualcosa che ha un’anima, una storia.

Ed ecco che tutto diventa magico, il countdown, le luci, i tecnici invisibili, l’orchestra, il pubblico vestito a regola d’arte, i giornalisti, i cameraman, la tensione in regia, la gente che resta fuori al gelo con gli occhi sui maxischermi, i colori, la scalinata e quella frase: “Buonasera e benvenuti alla 73esima edizione del Festival [della canzone italiana] di Sanremo”.

Gianni Morandi, Al Bano, Massimo Ranieri, i Pooh, Peppino Di Capri, Gino Paoli, Ornella Vanoni, i Cugini di Campagna. No, non sono i concorrenti di un Festival degli anni Settanta, ma alcuni dei cantanti che, tra ospiti e gareggianti, animeranno gli spettatori dell’Ariston. Sì perché la tradizione va rispettata: se allo spettatore medio Rai – che oscilla dai 50 ai 70 anni – non tocchi il cuore con il revival, cambia canale, si indigna se a ruota gli proponi tatuaggi, vestiti stravaganti, testi svuotati e schiamazzi vari.

Nel corso dei decenni il Festival è cambiato tantissimo e se ne sono viste davvero di tutti i colori, si è toccata la vetta e si è caduti dritti nel baratro. Già da tempo non viene più premiata la canzone ma l’artista vincente, il personaggio, talvolta costruito appositamente, in una società sempre più competitiva, basata sull’apparire, sulle apparenze e sull’urgenza di esistere e di farlo sapere agli altri, sempre, costantemente.

Sabato scorso Ginevra Leganza, sul Foglio, ha scritto: «Il Festival non è fatto per i sani divi o per gli antidivi (che poi s’uccidono pure). Ci vogliono ragazzi che non facciano sentire miserabili 10 milioni d’anime alla tivù. Ci vuole gente che sia peggio di noi. Le dive non riescono. I cristi dolenti, oggi, centrano l’impresa».

Inoltre, non bisogna mai dimenticare quanto disse Fabrizio De André in un’intervista: «Se si trattasse ancora di una gara di ugole, se si trattasse cioè di un fatto di corde vocali, la si potrebbe ancora considerare una competizione quasi sportiva, perché le corde vocali sono pur sempre dei muscoli. Nel caso mio, dovrei andare ad esprimere i miei sentimenti, o la tecnica attraverso i quali io riesco ad esprimerli, e credo che questo non possa essere argomento di competizione».

L’intellettuale e filosofo Marcello Veneziani ha definito il Festival di Sanremo come «il Tempio scemo del Politically correct, il Collettore delle sciocchezze nazionali e globali, la discarica di tutte le ipocrisie, i buonismi e lo scemenzaio delle mode. Le finte trasgressioni, i sessi in transito, i fatui sermoni strappalacrime (e scrotoclasti), la rassegna dei nuovi luoghi comuni».

Ieri, su La Verità, il Maestro e decano della manifestazione Beppe Vessicchio ha dichiarato: «Ho nostalgia di quei festival dove c’era un cantante dietro l’altro fino a tarda notte con rischio di noia mortale. Senza ospiti, senza comici o attori in promozione».

In effetti, negli ultimi tempi, su quel palco sono saliti davvero tutti: sportivi, comici, politici, membri delle Forze dell’Ordine, medici, magistrati, gente qualunque, star americane, influencer di ogni tipo. Tutti sul carrozzone, il grande show, lo spazio più importante dell’anno dove ogni minuto è prezioso, conteso, e c’è chi ammazzerebbe per accaparrarsene una manciata, c’è chi si vendereb… Ops.

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