domenica, Aprile 28, 2024
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Bagel, amore e fantasia; il “Sentiero” di Ilaria

Nel centro della città di Arezzo, nella tranquillità di Piazza Risorgimento, è sorta, da pochi mesi, una nuova attività, curiosa e singolare, una “Bageleria”.

Non è pane, non è pizza ma sempre di acqua e farina si parla. L’odore di questo prodotto da forno, il bagel, dalla caratteristica forma di una ciambella, molto diffuso e apprezzato all’estero, si espande in tutta la zona e conduce i nasi erranti dei visitatori affamati fino alla porta di colei che, con grande passione, li prepara quotidianamente, per la sua clientela.

Ilaria Landucci è una giovane imprenditrice di 26 anni, mamma del piccolo Noah, di 4 anni. A novembre 2022, ha deciso di iniziare a concretizzare un sogno che, da troppo tempo, teneva chiuso in un cassetto. Sentiero di Casa è il nome del suo locale, aperto lo scorso luglio, un luogo dove mangiare un prodotto di qualità, in un ambiente familiare, caldo e accogliente.

Ilaria ha avuto l’intuizione di creare un connubio vincente tra tradizione e innovazione, italianizzando, se non proprio toscanizzando, un alimento tipico della cucina polacca e ebraica. Il segreto sta negli ingredienti, tutti locali e a km 0, e nelle farciture, cha valorizzano i sapori della cultura culinaria italiana.

Sentiero di casa è anche un luogo dove trasmettere cultura, grazie agli eventi organizzati al suo interno, per dare una voce all’arte, in tutte le sue forme, a talenti in erba e alle idee più innovative. Per esempio, sono stati ospitati concerti di musica jazz e una Poetry Slam, avvincente gara di poesia fino all’ultima rima, organizzata dal collettivo Ossi di Nutria, composto da Tommaso Virga, Gabriel Mastrandrea e Danna.

Nonostante i tanti sacrifici e le difficoltà che ha dovuto affrontare, e che vive quotidianamente, gestendo la sua attività e crescendo il figlio completamente da sola, oggi Ilaria sorride al suo bancone, felice di quello che ha costruito, con le sue forze e grazie all’aiuto dei genitori, e racconta, con orgoglio e speranza, del suo progetto.

Come è nata l’idea di aprire una “Bageleria”?

Sicuramente per la mia passione per la cucina. In realtà, ho sempre desiderato avere un posto tutto mio, dove sfogare la mia creatività. Desideravo creare un ambiente dove mi sentissi bene. Ho fatto delle ricerche, perché volevo realizzare qualcosa che fosse una novità e che mi permettesse di avere tempo anche per la mia famiglia. Ho cercato di mettere d’accordo quello che avevo in mente con il mercato. Le alternative ai pasti veloci, poi, ad Arezzo, sono davvero poche; quindi, ho pensato al bagel, che è molto simile, come tipologia di impasto e lavorazione, al brezel, che è un prodotto di grande successo, soprattutto in contesti come i mercatini. Il bagel, inoltre, all’estero è diffusissimo. Ho aperto da poco, non so quale sarà la risposta, anche perché ho completamente cambiato il format. Infatti, in America o in Olanda, hanno un modo diverso di farcire il bagel. Io ho adattato questo prodotto estero a quello che troviamo nel territorio.

Potrebbe considerarsi questa l’idea vincente?

Penso di sì. Io utilizzo tutte materie prime locali, fornitori il più possibile a km 0. Per esempio, la farina viene da un molino casentinese, Molino Grifoni, che macina ancora ad acqua e a pietra. Da parte mia c’è stata una ricerca molto accurata, per offrire un prodotto nuovo e di qualità. Ho curato molto anche l’arredamento. Io ho un fortissimo legame con la tradizione contadina della Toscana, perché i miei nonni materni e paterni erano proprio contadini e io ho sempre vissuto in campagna. Volevo valorizzare, anche attraverso l’atmosfera del locale, il fatto che, anche se il prodotto che vendo è estero, le materie primo sono del territorio. Avendo un padre falegname, sono stata avvantaggiata, perché ha fatto tutto lui. Ci sono anche pezzi trovati nei mercati antiquari o di recupero, a cui abbiamo ridato vita, come le tavole della porta o le pentole appese alle pareti.

Gestisci tutto da sola?

Per ora sì, però ho una cara amica che mi affianca dal punto di vista social. Lei è molto brava con la tecnologia, è veramente di generazione Z, io per niente! Per il resto, faccio tutto io, anche le varie preparazioni per le farciture, che non sono classiche, come il burro al tartufo o il caramello salato, le paste di mandorle e di nocciole, tutto quello che posso. Quindi, chi viene qua sa che mangerà qualcosa di genuino al 100%.

Quanto hai impiegato per aprire?

È da quattro anni che penso a questo progetto però Noah era molto piccolo, andava ancora al nido. Così, ho dovuto accantonare l’idea perché, ovviamente, avrebbe richiesto tempo, energie e risorse economiche. Quando poi mi sono licenziata dal mio vecchio lavoro, all’inizio ho cercato un altro impiego, sempre nella ristorazione. Dopo, però, ho deciso di mettermi in proprio. Se devo lavorare dodici ore al giorno per qualcun altro, posso farlo anche per me. Non ci ho messo tanto; a novembre dell’anno scorso, ho lasciato il lavoro e, a luglio di quest’anno, ho aperto. Devo dire che sono stata aiutata tanto, soprattutto da mio padre, che sa fare tante cose, oltre al suo mestiere. I lavori di ristrutturazione che c’erano da fare qua dentro erano tantissimi. Io stessa mi sono messa a spaccare cartongesso. Ho fermato il locale a febbraio e l’ho sistemato in quattro mesi. C’è stata anche tanta fortuna; il finanziamento mi è stato concesso velocemente, seppure sia stato difficile, per me, richiederlo. Certamente, ci sono stati anche tanti intoppi, tra spese impreviste e preventivi sbagliati. La burocrazia italiana, poi, è difficile. Non ho potuto neanche godere di aiuti europei o statali, perché, quando ho deciso di avventurarmi in questa nuova esperienza, i bandi erano già stati tutti chiusi. Per fortuna, i miei genitori hanno creduto in me e nel mio progetto e mi hanno sostenuto tanto, anche economicamente.

Perché hai chiamato il locale “Sentiero di casa”?

Il nome non è stato facilissimo da trovare ma, appena l’ho scelto, si è delineato sempre più l’intero progetto, compreso l’arredamento. Il nome richiama un po’ l’ambiente campagnolo, con i suoi boschi circostanti, e quello casalingo. Volevo che le persone che sarebbero venute qua, potessero avere la sensazione di essere a casa loro o dei loro nonni, che è uno dei luoghi più caldi e accoglienti della mia infanzia. Mi ricordo che, quando andavo dalla mia nonna paterna, soprattutto, c’era quella atmosfera di tranquillità, forse anche data dal calore della stufa. Si tagliavano le cipolle in cortile, si andava nell’orto o dalle galline. Desideravo questo per il mio locale, un ambiente caldo e accogliente come una casa, cosa che difficilmente si trova in giro. Una volta deciso il nome, ho lavorato sugli ambienti. Ogni area del locale richiama una parte della casa: quando entri, ti sembra di stare in cucina mentre, al piano di sopra, trovi la sala da pranzo e un salottino. Ho tenuto tantissimo a questo aspetto, non solo per chi sarebbe entrato qui ma anche per me. Avevo bisogno di sentirmi a casa, perché è dove c’è la mia famiglia che io sto bene. Se pensi, poi, che devo passare molte ore da sola in questo posto, tutti i giorni, è importante che mi senta a mio agio. La gente deve venire qui perché sa di mangiare un buon prodotto e di qualità e perché può stare bene; per lo stesso motivo, sul tavolo, ho riposto anche una ciotola piena di frutta, lì apposta per gli ospiti. È per questo che mi piace la ristorazione: perché fa stare bene le persone e dà calore con qualcosa che hai creato tu, con le tue mani. Il contatto con la gente è una delle cose che amo di più del mio lavoro; cerco di essere, per il cliente, come un’amica che ti mette a tuo agio.

È facile per una giovane imprenditrice, oltre che giovane madre, farsi spazio nel mondo del lavoro?

C’è tantissima concorrenza e il mercato è saturo di tutto. Però un mio vecchio insegnante, Alberto Cenni, con cui ho fatto tanti corsi, anche di pasticceria, una volta, disse «Quando aprite un locale, dovete chiedervi perché il cliente dovrebbe entrarci». Mi hanno sempre fatto riflettere queste parole. Io penso che, per avere successo, sia importante l’originalità e essere coerenti con se stessi e ciò che si vuole offrire e trasmettere. Per quanto riguarda il mio progetto, nella mia testa, è gigantesco; ci vorranno anni, prima che riesca a svilupparlo interamente.

Potresti raccontare come si svolge una tua tipica giornata lavorativa?

Arrivo qui alle ore 8 e 30, non così presto, perché preparo gli impasti 24 ore prima. Fino alle ore 11 e 30, lavoro in cucina: formo i bagel e li faccio lievitare ancora, mentre mi dedico alle varie preparazioni per le farciture. Poi cuocio i bagel, che hanno una cottura abbastanza lunga. Apro al pubblico alle ore 11 e 30, fino alle 15. Dopo preparo nuovamente gli impasti per il giorno dopo. Stacco alle ore 16 circa, vado a prendere Noa all’asilo e lo porto dai miei. Sto con loro un paio d’ore. Poi, torno qui per l’apertura serale, fino alle ore 21, il fine settimana anche fino alle 22. Chiudo il più velocemente possibile e torno a casa, dal mio bambino. La mia giornata gira intorno ai miei due figli, il locale e Noah. Faccio continuamente avanti e indietro e la sera sono devastata. È difficile, se non impossibile, ritagliare dei tempi per me stessa. Però, sono ritmi che sostengo serenamente, perché mi proietto nel futuro e penso che ne varrà la pena. Questo è il mio progetto e ci credo. Come per tutte le cose importanti, è richiesto un minimo di sacrificio.

Come si prepara un bagel?

Il mio bagel ha un preimpasto. Poi passo all’impasto vero e proprio, che faccio maturare in frigorifero; uso farine che non sono molto forti e, quindi, non possono reggere una lunga lievitazione. La mattina, sporziono l’impasto, formo i bagel e li lascio lievitare un’altra ora e mezzo. Segue una prima cottura, in acqua bollente, miele e bicarbonato, e una seconda in forno. Questo procedimento rende i bagel croccanti fuori e morbidi dentro. Non si tratta di un impasto complicato; va solo trovato il giusto bilanciamento degli ingredienti. Certo, se sbagli un passaggio nella cottura, hai rovinato tutto il lavoro! Ci sono voluti tantissime prove e molto studio.

Ti senti realizzata in quello che hai costruito?

Sono in fase di realizzazione! Sono contentissima dei risultati raggiunti fino ad ora ma non mi voglio fermare qui. L’idea è di ingrandirmi e realizzare nuove realtà. Se riesco, spero di sì, vorrei creare anche opportunità per altre persone come me, che abbiano la voglia di mettersi in gioco, per essere il datore di lavoro che avrei voluto avere io, quando ero dipendente. Mi rendo conto, adesso, da titolare di una ditta, che è difficile; devi essere molto rigoroso e sicuro, prima di assumere, di poter garantire la giusta paga a tutti. Non posso pagare il personale con i bagel che avanzano.

Tu hai anche ospitato, nel tuo locale, eventi culturali, come concerti di musica Jazz e una Poetry Slam. Ciò rientra sempre nella tua idea di locale?

Assolutamente sì, per tanti motivi, soprattutto per dare spazio ad artisti emergenti. Vorrei ospitare eventi di vario tipo, sempre nuovi e dinamici, almeno una o due volte alla settimana. Rappresenterebbe un guadagno per tutti, sia per l’artista, che otterrebbe uno spazio in cui esibirsi, che per la mia attività, perché, ovviamente, avrei un’attrazione che mi movimenterebbe i giorni meno produttivi. Per ora, le organizzative proposte sono avvenute nel fine settimana ma mi piacerebbe spostare le prossime nei giorni feriali. Oltretutto, io amo l’arte e la musica e avrei desiderato, quando andavo a liceo, che ci fossero dei luoghi d’incontro così. Sarebbe stato bello se fossero esistite delle alternative alla discoteca, che non piace a tutti. Arezzo, in questo, è limitata. Non ci sono possibilità; o vai in discoteca o stai a casa con le amiche, non c’è spazio per un modo diverso di pensare. Siamo tutti omologati. Cosa dovrebbe fare un liceale nel tempo libero? D’estate, qualcosa si smuove ma d’inverno c’è il Deserto dei Tartari. Se esistessero altri eventi, oltre ai mercatini di Natale, si creerebbero nuove attrattive, per i ragazzi di Arezzo e della provincia. Quando sono venuti qui a suonare dei ragazzi del Liceo musicale, Santiago e Ivan, mi hanno detto che, qui ad Arezzo, riescono ad esibirsi poco, perché non c’è risposta dal pubblico. Il problema è che la gente non è abituata perché non conosce eventi di questo tipo; non si tratta neanche di mancanza di pubblicità. Ora la città si sta evolvendo, anche dal punto di vista culturale, ma sta a tutti noi agevolare questa crescita. Invece, l’ultimo Poetry Slam ha riscosso molto successo, nel locale, e abbiamo già fissato un’altra data a gennaio. Io ho dato tutta me stessa per questo posto, ho sacrificato tutti i miei risparmi e spero, davvero, che ci sia un futuro e di fare la differenza.

L’antico detto recita che “non tutte le ciambelle escono con il buco”; nel caso di Ilaria, non è così. Queste sono le realtà che fa bene leggere e ascoltare, capaci di ispirare e creare speranza in un domani più luminoso, dove ci sia lavoro e dignità per tutti, anche per i giovani.

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